Caro Ministro del Turismo e dei Beni Culturali, quotidiani e tg aprono i notiziari con la legge di stabilità e con un programma di lungo periodo per l’economia: l’Italia chiede che gli investimenti per le Grandi Opere siano esclusi dai vincoli di bilancio e lancia la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024.
Questo delle Olimpiadi è un mantra che periodicamente torna nella politica italiana. Lo ha evocato Ignazio Marino in uno dei suoi primi discorsi da sindaco, lasciandolo poi saggiamente decadere, ma se ne parlava già nell’autunno 2011. Uno dei pochi segnali positivi del governo Monti fu quello di accantonare il progetto di Roma 2020, rilevando che ad innescare la crisi greca erano stati i rovinosi sprechi delle Olimpiadi. Chi conosce Roma, ha familiarità con i patetici relitti degli appalti messi in opera con il pretesto delle manifestazioni sportive di questi ultimi decenni. Opere non indispensabili, realizzate in deroga alla normativa vigente, che sono costate cifre assai superiori a quelle preventivate e un certo numero di morti sul lavoro. Valga per tutte la stazione metropolitana di Vigna Clara, costruita in occasione di Italia 90 e poi battezzata Onient Express perché mai più utilizzata.
Il ministro ha rivendicato più volte la funzione strategica che i Beni Culturali potrebbero avere nello sviluppo economico del paese. Proviamo a pensare cosa si potrebbe fare, da qui al 2024, investendo 10 miliardi in una sana gestione pubblica del patrimonio storico-culturale. Si potrebbe cominciare reintegrando i dipendenti di strutture museali che rischiano di rimanere chiuse per una cronica carenza di personale scientifico e di custodi. Se si continua a pensare di mandare avanti musei, aree archeologiche, biblioteche e archivi facendo appello al senso civico dei volontari o ricorrendo al lavoro interinale sottopagato, gestito con l’intermediazione di qualche società in house che ci lucra sopra, non chiuderà il Mibact ma l’intero paese.
Nella convinzione che il patrimonio storico fosse una prospettiva di sviluppo, negli ultimi vent’anni l’università italiana ha prodotto una leva di laureati con competenze amplissime: le scienze del patrimonio – oggi finalmente riconosciute dal Codice – comprendono archeologi, storici dell’arte, antropologi, archivisti, bibliotecari, ma anche restauratori ed esperti in diagnostica e scienze dei materiali per il restauro. Rappresentano alcune generazioni di specialisti, spesso bravissimi, che pur di coltivare i loro interessi di studio accettano di lavorare per cifre che non danno da vivere.
Se una frazione di quei 10 miliardi di opere fosse impegnata per valorizzare questo capitale umano, garantendogli prospettive d’inserimento, potremmo tenere aperti molti musei, moltiplicando i biglietti e le occasioni di visita. Per recuperare risorse basterebbe rimettere a gara gli appalti dei servizi esterni, devoluti ai concessionari da quasi vent’anni a condizioni svantaggiose per l’amministrazione, sulle quali la Corte dei Conti ha sollevato rilievi.
Da settimane, dopo trionfali annunci, si discute sui fantasmagorici ingaggi di questo o quel grande esperto straniero, prodigiosamente dotato di competenze manageriali in grado di moltiplicare gli incassi dei musei, rifiutando ostinatamente di considerare che di persone capaci l’amministrazione ne ha moltissime, ma non le valorizza. Per il momento i buoni direttori li esportiamo: il responsabile della Galleria Estense, Davide Gasparotto, ha ricevuto e a malincuore accettato l’incarico di Senior Curator dei dipinti del Getty Museum, preoccupato dagli effetti della riforma Franceschini.
Massimi esperti stranieri? I bandi per la selezione sull’Economist? Poi c’è la realtà. Qualche anno fa fu istituita una Direzione Generale per la Valorizzazione affidata, con grande pompa, alle cure di un esperto proveniente dal management della McDonald’s. L’effetto più vistoso fu una discutibile campagna pubblicitaria che incitava i visitatori ad affrettarsi per non vedere i monumenti volar via. A volar via dopo una manciata di mesi fu il nuovo amministratore delegato della Valorizzazione, prontamente sostituito da una meno sfavillante soluzione interna, discretamente eliminata dalla recente riforma. Per i 10 musei più belli del mondo si replica o questa volta, spente le luci del bando internazionale, saranno esternalizzate non le competenze ma le collezioni?