Una riforma tira l'altra e si smantella la tutela

Una riforma tira l'altra e si smantella la tutela

Sull’ennesima riorganizzazione del Mibact, l’Associazione Bianchi Bandinelli ha approvato il seguente comunicato
 
L’ultimo intervento di “riorganizzazione” aggrava gli effetti della prima riforma Franceschini, isolando e paralizzando le soprintendenze, sottraendo loro mezzi e strumenti di intervento, rendendole sempre più deboli nel confronto con altre istituzioni e interessi particolari; si separano sempre più i musei dal loro ambiente storico e li si grava di nuove incombenze senza fornire nuovo personale; i futuri neodirettori, che usciranno da una pseudo-selezione uguale a quella già assai discutibile dell’estate scorsa, avranno la funzione primaria di questuare le risorse indispensabili. La soppressione della soprintendenza di Taranto e in prospettiva di quella dell’Aquila nega poi alle rispettive città la possibilità di riscattare il loro difficile presente.
L’ennesima riorganizzazione del Mibact è stata già varata con decreto ministeriale e senza ulteriori passaggi parlamentari, come ormai è in uso da anni, circostanza che esclude ogni partecipazione attiva e costruttiva ai vari processi riformativi, l’ultimo dei quali messo in moto dalla gestione Bray e dalla Commissione D’Alberti, linea raccolta ed enfatizzata dall’attuale titolare del Dicastero, Dario Franceschini. E così, mentre il Mibact si dibatte con le difficoltà nate dall’ultima riforma non ancora andata a regime e che sta provocando una confusione gigantesca tra uffici e archivi smembrati, ne interviene un’altra, ufficialmente motivata dalla riorganizzazione dello Stato per distretti con a capo i Prefetti, come prevede la legge Madia, ma che in realtà il Mibact anticipa, considerato che tale riorganizzazione sarebbe prevista solo alla fine dei decreti attuativi.
Si procede allo smantellamento delle strutture periferiche e alla successiva riorganizzazione in strutture uniche, con il pretesto di ovviare al “silenzio assenso” e alla presunta difformità dei pareri ministeriali, che invece potrebbe essere risolta con altri strumenti già esistenti, come la Commissione regionale dei Soprintendenti. Inoltre, molti di questi presidi unici non potranno essere pienamente operativi giacché saranno per molto tempo sprovvisti di archeologi e storici dell’arte, già ora in numero insufficiente.
La gestione del territorio da parte dei Prefetti, a cui si va incontro, provocherà un collasso nella tutela. Con le soprintendenze declassate a sottoprefetture, come prima del 1875, sarà più facile che la tutela archeologica e paesaggistica venga elusa in favore di interessi locali, dei quali un Prefetto non potrà non tenere conto, dato che la legge sulla Pubblica Amministrazione ha affermato il principio “dell’interesse prevalente” e quindi sarà il numero dei sostenitori, e non considerazioni legate alle finalità o al vantaggio pubblico, a determinare la soluzione di una controversia.
Per facilitare l’operazione si procede a smantellare le soprintendenze archeologiche, spesso baluardo al consumo del suolo e alla speculazione edilizia, e la dirigenza unica non favorirà i dirigenti archeologi e storici dell’arte, in numero veramente esiguo rispetto alle altre categorie. Tra l’altro le soprintendenze archeologiche sono il maggior bacino occupazionale per tutti i professionisti del settore che sarà ereditato dai futuri vagheggiati “Policlinici dei beni culturali”, sottraendo risorse e opportunità ai numerosi precari che lavorano da anni in attesa di una stabilizzazione. Alle soprintendenze vengono sottratte non solo sedi, archivi e depositi, ma anche prerogative e posti da dirigente (n. 10) a favore di altri ulteriori musei scissi dal territorio, con un’autonomia solo formale, ma che presto dovranno autofinanziarsi con ristoranti ed eventi di ogni tipo nel nome della tanto propagandata e malintesa “valorizzazione” o farsi sostenere da “fondazioni”: un primo passo per la devoluzione del patrimonio ai privati.
Si divide in quattro una soprintendenza come quella speciale per l’archeologia di Roma, creando un Parco per l’Appia antica, la cui gestione è da tempo ambita dalla Società Autostrade. Si spezzano l’unità e la forza di una soprintendenza che spesso ha difeso con coraggio Roma da progetti devastanti. In Abruzzo si prevede di cancellare per sempre la soprintendenza dell’Aquila, destinata a essere assorbita da quella di Chieti dopo il 2019. A Taranto invece la soppressione della soprintendenza archeologica, che confluisce nella soprintendenza unica con sede a Lecce, con il conseguente trasferimento di un archivio storico del territorio presente da oltre un secolo, cancella dall’orizzonte della città ogni prospettiva di sviluppo legata alla storia e alla cultura. La vicenda dell’Aquila e quella pugliese sono un esempio di come attraverso la ristrutturazione ministeriale si prefiguri l’avvenire delle città: L’Aquila è destinata a perdere il ruolo di riferimento che storicamente ha da sempre in Abruzzo; il futuro e le prospettive di Taranto vengono legati senza alternative possibili all’industria pesante.
Inoltre l’accorpamento delle soprintendenze archivistiche con le neo-bibliografiche altro non è che l’assorbimento di quelle competenze fino a ieri proprie agli Enti locali e contrasta con l’esistenza separata di due distinte direzioni generali.
E se anche questa riforma viene data a costo zero, così non è, innanzi tutto in termini di personale, mezzi e sedi, travolti da un tourbillon molto oneroso, in tutti i sensi.
 
 
 

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