di Pier Giovanni Guzzo
La riforma dell’organizzazione del Ministero per i Beni Culturali in questi giorni è avanzata di un passo, avvicinandosi sempre di più al traguardo di una struttura esclusivamente burocratica. L’accorpamento delle tre tradizionali branche della tutela in un unico ufficio periferico, ed in un’unica Direzione Generale centrale, altro non è che l’avvenuta supremazia della forma sulla sostanza. A nessuno si può chiedere di essere esperto in più discipline diverse fra loro; e, di conseguenza, il responsabile dei nuovi uffici tricorpore dovrà fidarsi di quanto gli viene sottoposto oppure fare di testa sua. Nel primo caso si addossa responsabilità che non potrà valutare; nel secondo correrà il rischio di aberranti azioni. È prevedibile, quindi, che regnerà un plumbeo “silenzio assenso” su tutto: così che sarà possibile avere mano libera nella trasformazione del territorio senza tener più conto di limitazioni e vincoli, come molti, a cominciare da alti livelli istituzionali, desiderano.
Anche le nuove circoscrizioni territoriali rispondono a una logica esclusivamente amministrativa, esemplate come sono su quelle proprie di altri rami della Pubblica Amministrazione. E non, invece, su quelle che Giuseppe Fiorelli aveva impostato nel 1870, ricalcando i limiti delle Regiones augustee: almeno per il patrimonio archeologico, l’ufficio di tutela corrispondeva così all’intero di una realtà antica. Ma il disinteresse verso la geografia culturale e la storia del nostro Paese, complessa e stratificata come lo è stata la successione delle produzioni culturali, ha superato in basso i peraltro già profondi abissi nei quali si era sprofondato nei decenni precedenti.
In diretta prosecuzione di quanto già perpetrato, assistiamo a nuove e più numerose separazioni tra musei e territorio. Una pervicacia del genere appare essere la negazione più sonora ed evidente della tendenza “olistica”. A questa si è pagato pegno con l’unificazione delle attività di tutela territoriale (ma occorrerà attendere qualche tempo per valutare i risultati della nuova gestione), contemporaneamente però ne vediamo una clamorosa smentita. Infatti la separazione, rinnovata e ampliata, tra musei e territorio vanifica questa tendenza “olistica”: in quanto saranno uffici diversi tra loro (e quindi individui diversi, anche per formazione ed esperienza professionale) a gestire la tutela e i musei. Così che il frutto della prima, importante per la sua positiva funzione culturale in potenza, non è assicurato passi in maniera fedele nei secondi. Nei mesi appena trascorsi, si è visto il succedersi di baruffe sulla titolarità dei materiali: baruffe che, si può facilmente prevedere, continueranno. Con grave danno della conoscenza, e quindi della predisposizione di materiali utili alla formazione culturale.
L’obiettivo prioritario dei musei continua a consistere, piuttosto, nell’aumento senza fine del numero dei visitatori, a qualsiasi costo. Questa esigenza, puramente formale, unita all’autonomia finanziaria (cioè: alla necessità di procacciarsi il denaro per continuare ad esistere ed essere attivi), non assicura affatto circa la bontà metodologica della comunicazione e della formazione che i musei assicureranno ai cittadini. Tanto più che si insiste solo sulla “valorizzazione”.
Accanto alla sempre più accentuata discesa della formazione universitaria, questa ennesima riforma dell’organizzazione del Ministero per i Beni Culturali fa chiaramente intendere quale tipo di cittadino si desidera avere: di certo, non informato, ma pronto a sbalordirsi per ogni nuova “valorizzazione” che gli si offra.