di Pietro Giovanni Guzzo
A quanto si apprende dalla stampa quotidiana, l’Italia corre il concreto, paradossale rischio di diventare creditore della Grecia: in quanto, nonostante gli impegni in precedenza assunti, non assolve agli obblighi di procedere alle opere di conservazione e restauro delle numerose aree archeologiche rimesse in luce dalla Scuola Archeologica Italiana di Atene.
La Scuola protesta lo stato miserando delle sue disponibilità finanziarie, appena necessarie ad una modesta sussistenza, ma non di certo al perseguimento di attività di ricerca che avevano posto l’archeologia italiana fra le più qualificate nel bacino dell’Egeo.
La Scuola Archeologica Italiana di Atene è un istituto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo: il quale segue una linea rivolta, in assoluta prevalenza, ad attività di valorizzazione, tralasciando, o ponendo in secondo piano, quelle di tutela e di conservazione. Fra queste attività neglette ci sono quelle relative alla ricerca ed alla formazione dei giovani, i quali potrebbero essere reclutati dal Ministero stesso appena si porrà mano all’adeguamento qualitativo e numerico ed allo svecchiamento dei ruoli tecnici. Infatti, da più di un secolo la Scuola Archeologica Italiana di Atene forma giovani archeologi, destinati anche alla vita di Soprintendenza.
Come già per altri episodi, i responsabili del Ministero sembra abbiano preferito la più facile via dell’evento glamour a quella, più ardua perché meno avvertibile dalla pubblica opinione distratta o disinformata, rivolta alla conservazione del patrimonio (anche quello greco, per carità) ed alla formazione di personale scientifico e tecnico adeguato al delicato compito di tutelare il patrimonio storico e culturale italiano. Ed è la stessa cosa se, oggi, parliamo di fatti che si svolgono in Grecia: la triste musica che si ascolta a Creta, a Lemno, ad Atene risuona, con gli stessi toni, anche fra di noi.