Articolo di Francesco Erbani
La Repubblica, 23 settembre 2019.
Il teorico della città come bene comune, “casa di tutti”, è morto a Venezia a 89 anni. Urbanista, laureato però in ingegneria, ha formato generazioni di allievi.
Edoardo Salzano ripeteva spesso che la città non è un ammasso di case, ma la casa di tutti. E se incontrava qualche resistenza nell’interlocutore, incalzava: «La città non è solo un prodotto del mercato, è una creatura sociale, frutto di lavoro collettivo e storico». E se ancora non bastava, attingeva al repertorio classico: «È urbs, struttura fisica, è civitas, cioè società, ed è polis, governo”. Edoardo Salzano, Eddy per chiunque lo conoscesse, si è spento a Venezia, dove viveva dal 1974. Aveva 89 anni.
Eddy Salzano era un urbanista, laureato però in ingegneria, ed è stato maestro per generazioni di allievi, quelli che allo Iuav di Venezia frequentavano i suoi corsi, ma anche quelli che si sono formati sui suoi libri, primo fra tutti Fondamenti di urbanistica (Laterza). Ha redatto impegnativi e coraggiosi piani. Basti ricordarne solo due per afferrare i punti cardinali del suo orientamento politico e culturale: quello della città storica di Venezia e quello paesaggistico della Sardegna. Della città lagunare è stato assessore, dal 1975 al 1985, in una giunta di sinistra guidata dal socialista Mario Rigo.
La sua genealogia intellettuale vede iscritti i nomi di Luigi Piccinato e di Giovanni Astengo, di Federico Gorio e poi di Leonardo Benevolo, dal quale lo divisero aspri dissensi proprio a proposito di Venezia. A questi apporti, non solo disciplinari, vanno affiancati quelli di Franco Rodano e di Claudio Napoleoni, animatori della Rivista trimestrale, intorno alla quale si riuniva il gruppo degli intellettuali comunisti di provenienza cattolica. Salzano, che era nato a Napoli nel 1930 ed era nipote del generale Armando Diaz, era arrivato a Roma nel 1952 e, iscritto al Pci, scriveva per l’Unità e fu eletto consigliere comunale.
In Memorie di un urbanista, uscito dalla Corte del Fontego nel 2010, Salzano racconta gli anni della estenuante gestazione del piano regolatore di Roma, poi approvato nel 1965, e di come Roma sotto i suoi occhi crescesse assecondando solo interessi fondiari e immobiliari, comunque privati. Nel 1969 uscì un suo saggio, Urbanistica e società opulenta (Laterza), che non piacque ad autorevoli architetti come Bruno Zevi, ma che influenzò fortemente chi in quegli anni si laureava.
Per Salzano è rimasto un punto fermo il controllo pubblico delle trasformazioni urbanistiche. La città, ripeteva, non è un aggregato edilizio: se si lascia fare al solo mercato immobiliare o, tutt’al più, a una contrattazione in cui il contraente pubblico si piega ai voleri di quello privato, ecco che la città perde la propria ragion d’essere, perde qualità e danneggia la civitas. È compito dell’urbanistica disegnare l’assetto di una città considerando i bisogni e le aspirazioni di chi la vive. L’urbanistica è una scienza eminentemente sociale, non un freddo manuale di norme.
Non è andata come avrebbe voluto. In pensione, Eddy Salzano si è inventato un altro mestiere. O, meglio, ha cercato nuovi mezzi per raccogliere le sue riflessioni e per coinvolgere giovani e meno giovani ricercatori, militanti di associazioni, persone affezionate alla civitas e alla polis. E, sebbene avanti nell’età, ha esplorato la potenza della rete e ha fondato eddyburg, che oggi è il più attrezzato sito in materia di territorio, paesaggio, città, ambiente. È un repertorio di documentazione insostituibile, destinato a tutti, orientato e trasparente dal punto di vista politico e apprezzato anche da chi non ne condivide la radicalità.
Eddyburg è stata la seconda vita di Eddy Salzano, ne ha rinnovato l’energica e ironica lucidità, ha nutrito il gusto della conoscenza e della militanza, gli ha garantito freschezza intellettuale. Fino all’ultimo, fino a che gli occhi lo hanno assistito, anche seduto su una chaise longue davanti a una porta a vetri affacciata su un canale, dietro campo Santa Margherita, la sua preoccupazione era aggiornare eddyburg.
E una seconda vita gli ha assicurato Venezia, dove fu chiamato un po’ per ragioni universitarie un po’ spinto dalla militanza politica. Nella città lagunare, da amministratore, aveva messo le basi per evitare che ci si consegnasse mani e piedi all’economia turistica. Non è andata come avrebbe voluto neanche questa volta.
Ma Venezia non gli sembrava una città per la quale doversi rassegnare. Era in prima fila, su una carrozzella a rotelle, durante la manifestazione in bacino San Marco dopo l’incidente provocato da una delle grandi navi che solcano la Laguna. Troppa qualità nella storia urbana di Venezia, nel suo assetto, nella tenacia di tanti suoi abitanti per finire travolta da un turismo predatorio. Su eddyburg si può leggere quel che Marco Polo dice al Kublai Khan nelle Città invisibili di Italo Calvino: «Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia. Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia». «Così è Venezia anche per me», chiosava Eddy.