L’Associazione Bianchi Bandinelli ha diramato un comunicato stampa che analizza i punti critici della Riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo voluta dal Ministro Dario Franceschini per riorganizzare la struttura amministrativa e di tutela. Nel documento si ribadisce che “l’aspetto negativo principale della riforma presentata dal Ministro Franceschini è lo smantellamento del sistema delle soprintendenze, la mortificazione delle professionalità tecniche nonché la creazione di una struttura che sembra prendere in considerazione solo i ruoli apicali, identificando il rinnovamento dell’Amministrazione con l’avvicendamento ai vertici”. Il secondo aspetto negativo della proposta ministeriale “riguarda la separazione dei musei dal contesto culturale e territoriale il che rappresenta la negazione dell’identità e della peculiarità del nostro sistema di governo dei beni culturali”.
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COMUNICATO DELL’ASSOCIAZIONE BIANCHI BANDINELLI SULLA RIFORMA DEL MIBACT
20 luglio 2014
#soprintendentestaisereno
Da oltre vent’anni, l’Associazione Bianchi Bandinelli ha perseguito una intensa attività di approfondimenti e di proposte indirizzate alla riforma dell’Amministrazione dei beni culturali in tutti gli ambiti, producendo convegni, pubblicazioni e testimonianze di ogni genere che hanno stimolato il dibattito e la riflessione a livello nazionale. Pertanto l’Associazione è ben consapevole che siano necessari cambiamenti nell’attuale assetto del Ministero e degli organi periferici, e che la situazione si è notevolmente aggravata negli ultimi dieci anni a causa delle scelte politiche, del pesante taglio alle risorse e della diminuzione del personale.
Al contrario, il provvedimento appena presentato, nonostante le dichiarazioni d’intenti, finirà per aggravare i problemi che da tempo affliggono il settore. L’aspetto negativo principale della riforma presentata dal Ministro Franceschini è lo smantellamento del sistema delle soprintendenze, la mortificazione delle professionalità tecniche nonché la creazione di una struttura che sembra prendere in considerazione solo i ruoli apicali, identificando il rinnovamento dell’Amministrazione con l’avvicendamento ai vertici. Sotto questo aspetto il provvedimento illustrato nei giorni scorsi dal Ministro Franceschini appare pienamente rispondente al giudizio negativo più volte espresso dal Presidente del Consiglio contro il sistema delle soprintendenze, e quindi della tutela.
Un’antica avversione, se si pensa che negli ultimi cinquant’anni le soprintendenze sono state l’unica, esile voce che a livello istituzionale si è opposta allo scempio del paese, agli interessi della speculazione e alla rovina del territorio determinati congiuntamente da una classe politica più retrograda che arretrata, da interessi di grandi gruppi industriali e dalla speculazione edilizia. In più, l’istituzione di commissioni che riesaminino i pareri delle soprintendenze evidenzia la determinazione di paralizzarne l’azione e sottoporle a stretto controllo, negando così conoscenza e competenza di merito. L’attuale governo raccoglie quindi l’eredità cinquantennale della peggiore classe politica del Paese, quella che dal secondo dopoguerra ha tenuto mano al saccheggio indiscriminato del territorio e continua a promuoverlo, favorendo speculazione e “grandi opere”. Da qui – coerentemente – derivano avversione e risentimento, e l’urgenza di rendere le strutture della tutela meno efficienti proprio dove più efficace e attenta deve essere la loro attività: negli organi periferici, nelle soprintendenze.
Il secondo aspetto negativo della proposta ministeriale riguarda la separazione dei musei dal contesto culturale e territoriale il che rappresenta la negazione dell’identità e della peculiarità del nostro sistema di governo dei beni culturali.
Salvatore Settis, nel suo libro Italia S.p.A. del 2002, facendo propria e riproponendo la lezione della generazione di Ranuccio Bianchi Bandinelli e dei grandi storici dell’arte quali Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi, Roberto Longhi, Cesare Gnudi, Andrea Emiliani, affermava fra l’altro:
“… buona parte del discorso sulla ‘modernizzazione’ del sistema italiano è puntato sui musei (anzi, sul museo-azienda), dimenticando il territorio in cui essi sono radicati (e le soprintendenze che vi hanno giurisdizione), col rischio gravissimo di spezzare il nesso museo-città-territorio che è il cuore della nostra cultura istituzionale e civile.”
“… la netta distinzione fra gestione e tutela è un ritornello intonato volentieri dai nostri ministri […]. Ma la distinzione fra tutela e gestione del patrimonio culturale non è affatto tranquillizzante. […] perché tutela e gestione non si possono separare: sono due momenti intimamente connessi di un processo unico. […] Conoscenza-tutela-gestione-fruizione nel contesto culturale del territorio: è questo, preziosa eredità del nostro secolare sistema museale e della nostra cultura istituzionale e civile, un circolo che sarebbe dannoso spezzare.”
La riforma presuppone o rappresenta viceversa una realtà inesistente, composta da contenitori di beni – i musei – isolati dal contesto e in competizione fra loro, suddivisi da classificazioni assurde e insensate di qualità prime e seconde e terze – perché mai Michelangelo agli Uffizi è di “prima fascia” e di “seconda fascia” alle Gallerie dell’Accademia?
Prima di smembrare, per esempio, un’istituzione come la Soprintendenza archeologica di Roma, occorre conoscere la complessità delle azioni e dei luoghi della cultura che questa salvaguarda, e il peso che queste azioni e questi luoghi hanno avuto nella storia anche recente di Roma, costruendo un sistema culturale, storico, urbanistico e turistico che rappresenta il primato, riconosciuto a livello mondiale, della città e del suo territorio.
Nel caso di Firenze, è incomprensibile una separazione non solo dei musei dal contesto, ma anche la scelta di un’irrazionale graduatoria che ha stabilito tre livelli diversi di importanza privi di senso, se si pensa che quei musei custodiscono opere dei medesimi autori e delle stesse epoche. Pur facendo ossessivamente riferimento al turismo come alla sola attività che sembra giustificare l’esistenza di opere d’arte, monumenti e musei, nella riforma neanche questo criterio è stato applicato in forma coerente, altrimenti non sarebbero state separate raccolte come quelle fiorentine vicinissime fra loro topograficamente, e il cui contenuto è analogo per età, autori e importanza. Nell’insensata graduatoria dei musei che è stata proposta non è stabilita neppure una gerarchia rispondente al numero dei biglietti staccati, altrimenti non si spiegherebbe perché le Gallerie dell’Accademia, che come ha ricordato il direttore sono il terzo museo d’Italia per visitatori, siano state relegate in serie B, o in “seconda fascia”.
Questo spezzatino del nostro patrimonio culturale con cui si nega la storia stessa del Paese e del suo tessuto territoriale sconfessa, ancora una volta, il principio secondo il quale la valorizzazione, così come è definita dal Codice dei beni culturali (articolo 6), non può che partire da investimenti sulle risorse umane e scientificamente qualificate, l’unica vera ricchezza e forza di questo Ministero. Una compagine, questa, sempre più sparuta, che andrebbe incrementata e messa in condizioni di agire al meglio, non mortificata, invece, come è accaduto per gli storici dell’arte, sacrificati sull’altare della spending review con disinvolta noncuranza di ogni ragionevolezza scientifica.
Invece la valorizzazione proposta passa per una totale sostituzione del personale, per una mortificazione delle professionalità e dei saperi interni all’Amministrazione, del personale tecnico-scientifico che non ha niente da invidiare ai colleghi delle istituzioni straniere se non per quanto riguarda i mezzi a disposizione e le condizioni di lavoro, e che nonostante tutto ha sempre lavorato con grande professionalità, dedizione, spirito di sacrificio e senso delle istituzioni, ottenendo grandi e misconosciuti risultati apprezzati universalmente. Infatti si dimentica che negli ultimi anni, nonostante la crisi del turismo e sommersi dal rumore delle polemiche sulle differenze con i musei stranieri, i visitatori dei musei italiani sono cresciuti anno dopo anno.
Per sublime nemesi, la ‘riforma’ Franceschini sancisce il trionfo della burocrazia ministeriale, quella stessa che il Presidente del Consiglio ha indicato come uno dei nemici da abbattere per lo sviluppo del paese: infatti si aumentano a dodici le direzioni generali centrali, alimentando ulteriormente l’ipertrofia parassitaria e già pleonastica del Collegio Romano.
In conclusione, si è voluta rompere l’unità del patrimonio, frammentare, isolare e mettere in competizione le sedi culturali ritenute più importanti, con l’intento di creare centri di potere isolati, sollecitare le rivalità e le ambizioni individuali degli addetti ai lavori: come se non fosse prioritaria la necessità di collaborazione fra tutte le intelligenze e le competenze disponibili per essere all’altezza del patrimonio immenso che ci è stato dato in consegna.
L’Associazione Bianchi Bandinelli, ribadendo la necessità e l’urgenza di un intervento di riforma del Mibact, non gattopardesca e demagogica, presenterà, nelle prossime settimane, alcune proposte alternative – nello spirito e nel metodo – a questo provvedimento che ci si augura possa essere radicalmente mutato.
Nel frattempo l’Associazione donerà al Ministro una copia dei volumi Una politica dei beni culturali di Andrea Emiliani e Italia S.p.A. di Salvatore Settis.
ASSOCIAZIONE BIANCHI BANDINELLI
www.bianchibandinelli.it – info@bianchibandinelli.it