Gli archivi privati

Gli archivi privati

di Gigliola Fioravanti

 
Queste brevi riflessioni sono rivolte soprattutto a quanti ignorano i problemi e le caratteristiche degli archivi in generale e degli archivi privati in particolare e si apprestano ad interessarsi alle fonti documentarie e ai luoghi che sono istituzionalmente deputati a tal fine.
Nel vasto panorama internazionale, la realtà archivistica italiana presenta per qualità e quantità la più ampia tipologia e il più imponente arco cronologico di fonti documentarie oggi esistenti. Gli archivi del nostro Paese sono stati soggetti nel corso di molti secoli da grandi concentrazioni e da notevoli dispersioni anche e soprattutto nel secolo scorso, cosa che ha reso e rende i nostri istituti diversi, variegati e con peculiarità e fisionomia fortemente differenziata, pur nel comune denominatore costituito da documentazione nata e prodotta a fini prevalentemente pratici (politici, amministrativi, economici, giuridici, ecc.), ovvero per soddisfare specifiche esigenze correlate ai compiti o agli interessi perseguiti dal soggetto o dai soggetti che hanno posto in essere le carte. C’è anche da osservare che la “geografia” archivistica rispecchia la struttura e le vicende degli Stati preunitari e le peculiarità di una entità che ha oscillato per diversi secoli tra un particolarismo tipico della civiltà comunale e un universalismo rappresentato dall’idea dell’impero.
Queste caratteristiche sono evidenti sia negli archivi prodotti da soggetti pubblici che da enti privati, partiti, sindacati, imprese, banche, associazioni, singole personalità, famiglie e quant’altro, ovvero da quell’ampio pianeta che va sotto la denominazione ‘Archivi privati’, archivi che (in Europa) solo nel nostro Paese rientrano nella giurisdizione dello Stato qualora dichiarati di interesse storico.
Fu proprio nel secolo XVIII che si rileva una maggiore attenzione nei riguardi della documentazione prodotta sia nel passato che nel presente. Molte famiglie o enti privati dimostrarono maggiore cura, più che in precedenza, per la tenuta e la conservazione delle loro carte. Fu allora che si cominciò ad occuparsi di luoghi più idonei per preservarle dalla definitiva dispersione e di collocarle in maniera funzionale all’uso che se ne poteva fare a scopi amministrativi e per renderli utili quali strumenti di potere e di governo.
Non sta a me disquisire sulle problematiche degli archivi privati, nonché sulle misure che la pubblica amministrazione in questi ultimi decenni ha assunto per favorire e tutelare il prezioso patrimonio privato, perché argomento che in modo più appropriato e con maggiore competenza è stato svolto da soggetti responsabili del coordinamento nel settore della vigilanza sugli archivi non statali. Quello che qui desidero osservare è invece la notevole attenzione che in passato è stata riservata agli archivi di famiglie gentilizie, a motivo dei loro addentellati politico-economici o socio-culturali con le vicende degli Stati preunitari. Questo spiega anche perché negli Archivi di Stato ne sono conservati in numero cospicuo, benché talvolta smembrati e privati di alcune parti. Certamente nel corso dell’Ottocento e più ancora del secolo trascorso, la produzione e la rilevanza degli archivi gentilizi va scemando e poi scomparendo con l’affievolirsi delle funzioni a lungo gestite dalle famiglie aristocratiche. Stesso fenomeno si evidenzia per tutti gli archivi di famiglia, mentre va emergendo sempre più con l’età contemporanea l’importanza delle carte prodotte dalle singole personalità che hanno svolto un ruolo a carattere politico locale o nazionale. E’ questa una politica di acquisizione che gli Archivi di Stato hanno perseguito e perseguono da tempo. Basti pensare al patrimonio di carte di singole personalità conservate dall’Archivio centrale dello Stato, che nell’ultimo quarantennio ha indirizzato il suo interesse anche verso gli archivi privati di professionisti, ampliando in tal modo la pur vasta gamma di tipologie documentarie acquisite per versamento o per deposito da soggetti statali e pubblici. Il risultato è stato raggiunto sia per sollecitazione degli stessi archivisti che si sono attivati per sensibilizzare i proprietari o i detentori di quegli archivi, sia per iniziativa degli stessi proprietari desiderosi di far emergere la propria memoria documentaria e di farla conoscere ad un più vasto numero di studiosi e di ricercatori.
Se, però è intuibile o facilmente individuabile il luogo di conservazione di un fondo d’archivio prodotto dallo Stato, poiché, come è noto, a ciò soccorre la notevole opera della Guida generale degli archivi di Stato italiani, è impresa ardua identificare i luoghi di destinazione finale degli archivi di persone, di famiglie ecc., poiché sapere dove le carte sono andate a finire non è cosa facile. Sappiamo che non è infrequente il caso in cui le carte vengono cedute, unitamente al patrimonio bibliografico, a biblioteche anche locali, a deputazioni di storia patria, ad accademie o fondazioni appositamente create, istituti universitari, centri culturali o di documentazione. Un primo aiuto può venire dall’opera edita dall’Amministrazione archivistica, avviata nel 1991 – Archivi di famiglie e persone, che però, come è stato già notato, è quasi un insieme di schede informative su archivi notificati e conservati negli Archivi di Stato o presso altre istituzioni culturali.
Il dato che oggi costituisce, a mio avviso, una vera novità, impensabile solo qualche decennio fa, è costituito dall’emersione di una molteplicità di archivi riguardanti persone che nella loro vita hanno svolto attività professionali tra le più varie. Ecco allora nuclei documentari, spesso frammisti a tipologie di tracce diverse, sorti dall’attività di soggetti che sono stati scienziati, filologi, artisti, letterati, architetti, storici, ecc. E ancora, le caratteristiche di quelle carte spesso rivelano un diverso approccio con la conservazione della propria memoria, a volte con atteggiamenti maniacali e ultraconservativi, altre volte si verifica il desiderio di distruzione o di dispersione della sedimentazione cartacea del proprio lavoro, magari manipolandola e selezionandola con fini specifici. Penso, ad esempio all’archivio di Mario Pannunzio, conosciuto soprattutto per essere stato per oltre vent’anni il creatore e il direttore della famosa rivista “Il Mondo”, su cui si sono formati i giovani intellettuali degli anni ’50 e ’60. Le carte e la biblioteca vastissima ora sono conservate presso l’Archivio storico della Camera dei deputati, ma per quanto concerne l’archivio, Pannunzio volle che fosse distrutto dai suoi eredi alla sua morte, nonostante avesse cercato di riordinare e purgare egli stesso le sue carte, forse dopo la chiusura della rivista. Quello che rimane è forse una parte mutila dell’intera documentazione accumulata durante un’intensa attività di giornalista, studioso e critico letterario e di commentatore politico raffinato.
Allo stesso modo, è vivo oggi l’interesse per le carte prodotte e rimaste di coloro che durante la loro esistenza non hanno svolto ruoli di particolare rilievo. Si tratta di persone qualunque, che hanno però affidato i ricordi della propria vita a diari, memorie o ad autobiografie, testimonianze altrettanto meritevoli di attenzione perché costituiscono una finestra sulla realtà del loro tempo, quale venne percepita dai più, magari con maggiore consapevolezza, ma lontano dalle suggestioni o dalle influenze della società dominante.
Altro attributo degli archivi privati dell’età contemporanea è dovuto alla compresenza di una moltitudine di fonti e tipologie documentarie. Accanto a documenti di natura strettamente privata, come carteggi, tracce degli interessi economici o della carriera, si rinvengono numerose fotografie, materiali pubblicitari, ricevute, libri, appunti, quaderni scolastici, e, avvicinandoci a periodi sempre più vicini all’attuale, anche dischi, nastri, cassette e quant’altro.
Da quanto ho sommariamente ricordato, si può comprendere l’importanza che va data alla cura, alla tutela e alla conservazione degli archivi privati, anche in considerazione che in un prossimo futuro potrebbero costituire la fonte più cospicua delle acquisizioni da parte degli Archivi di Stato. Se fino a non molti anni fa questo settore era considerato quasi marginale rispetto ai versamenti, ovvero alle fonti di accrescimento degli Archivi di Stato, là dove quelli potevano verificarsi per la dotazione di spazi idonei, oggi e negli anni a venire, le fonti pubbliche o statali saranno sempre più in forte decrescita, a motivo della massiva e pervasiva riforma dello Stato, che ha lasciato che molte sue competenze fossero trasferite alle regioni o che attraverso le misure di privatizzazione ha creato la trasformazione di soggetti statali o pubblici in soggetti di natura privata.
E’ questa la realtà documentaria di maggiore rilevanza per l’oggi e il domani, realtà su cui vanno concentrate notevoli risorse intellettuali e finanziarie dell’Amministrazione archivistica in termini di una rafforzata tutela. Ma c’è anche da considerare che le difficoltà che si frappongono al perseguimento di quella finalità, costringono gli enti conservatori e le sovrintendenze e gli archivi di Stato, in primo luogo, ad attivarsi per impedirne la dispersione, favorendone invece l’emersione e l’individuazione. Non solo non si sottrae, così, alla ricerca una messe di archivi sterminata, ma si consente anche ai detentori di carte una serie di provvidenze che la legislazione ha posto in essere a loro favore. La comunicazione e la fruizione di questo importante patrimonio alla comunità dei ricercatori e in generale agli utenti cittadini costituiscono ulteriori incentivi per i privati a spingerli a dichiarare il posseduto e dare un senso profondo alla memoria che conservano anche in termini di un rafforzamento del sentimento di appartenenza.
 

(foto Maristela Possamai)
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