di Luigi De Falco
Il 14 dicembre l’ANCSA ha presentato a Roma la pregevole indagine, svolta dal Cresme, sullo stato dei Centri storici delle città capoluogo delle 109 provincie italiane. Esso espone e mette a confronto i dati censimentali raccolti nel 2001 e nel 2011 utili per comprendere l’evoluzione decennale dello stato dei nostri principali centri storici, sotto i vari aspetti commisurati all’andamento demografico e generazionale, occupazionale e strutturale. Alla presentazione del lavoro illustrato dal presidente Bandarin, hanno preso parte il ministro Franceschini, il presidente della Commissione Ambiente alla Camera, Realacci, quello della Commissione Cultura, Nardelli, i sindaci dei comuni di Gubbio, Savona, Bergamo, Palermo, Lecce, Cosenza. Particolare utilità hanno rappresentato gli interventi dei sindaci che hanno riportato le esperienze dei loro territori. Ma particolare sconcerto ha provocato il sindaco di Cosenza che nulla ha riferito delle recenti dolorose vicende della sua città storica, dove proprio pochi mesi fa egli ha firmato le ordinanze di demolizione di sei edifici, aprendo una ferita lacerante nel cuore di un centro storico già minato da decenni di incuria e indifferenza politica, mostrando come anche l’attuale gestione politica della città, al sesto anno continuativo di governo, non sembra abbia sortito –sul centro storico- altri esiti all’infuori delle demolizioni effettuate e quelle ulteriori pure disposte e fortunosamente bloccate dalla presa di posizione della Soprintendenza, risvegliata dai giornali.
Il presidente ANCSA ha sottolineato quanto la politica di tutela dei centri storici in Italia risulti “polverizzata” nella miriade di politiche locali che trovano le più disparate espressioni nelle normative regionali e negli strumenti urbanistici comunali, anche per effetto dell’eccezionale eterogeneità dei nostri centri storici, tra nord e sud della Nazione.
Bandarin ha ricordato gli sforzi in atto in Francia o negli Stati Uniti per ridurre le pressioni del turismo sui centri delle città, disciplinando le nuove attività commerciali al fine di tutelare le tradizionali. A riguardo, è intervenuto il ministro Franceschini che ha ricordato le iniziative del Governo tese a offrire ai sindaci la facoltà di regolamentare i flussi turistici nelle città storiche (evitando l’introduzione di ticket a pagamento per l’accesso), individuando zone nei propri territori, dove disapplicare le norme di liberalizzazione del commercio, così arginando la proliferazione degli ambulanti o dei negozi di paccottiglie, dei venditori di souvenir di produzione asiatica, o ancora di b&b o case vacanza, che hanno determinato la crisi di settori dell’economia tradizionale all’interno delle città storiche.
Ulteriori vantaggi alle attività economiche storiche sarebbero costituiti, secondo Franceschini, dall’introduzione nella legge di bilancio, di una “tax credit” a favore delle librerie che prevede una detassazione tra 10 e 20 mila euro l’anno, per sostenere attività di grande importanza per la vita culturale delle città storiche.
A fronte di tali pur significative iniziative, va rilevata poi una temeraria dichiarazione del ministro per il quale la politica sarebbe così pervenuta ad assicurare la tutela diffusa dei centri storici e sarebbe quindi giunto il momento di lavorare alla loro valorizzazione. In tal senso, a suo dire, assumerebbe importante significato assicurare nuova architettura di qualità all’interno dei tessuti antichi delle città, superando un diffuso “tabù” che ha sinora impedito di garantire continuità al processo di stratificazione nelle città storiche, che per millenni ne ha caratterizzato il disegno.
Il ministro ha fatto l’esempio di 4 o 5 siti (senza dire quali) dove ben vedrebbe nuove architetture contemporanee, così colmando “significativi vuoti urbani” ed ha annunciato un programma teso a sperimentare nuove metodologie d’intervento di recupero del patrimonio edilizio pubblico e privato, comprensivo della nuova edificazione, e di ridisegno dell’arredo e della scena urbana in una nuova chiave di valorizzazione dell’immagine storica delle città, da sperimentare su comparti individuati all’interno di altrettanti significativi centri storici del sud Italia.
La presidente della Commissione Cultura ha ribadito l’esigenza di “superare la logica della tutela a oltranza”, privilegiando invece nuovi processi di valorizzazione e fruizione delle città storiche che prevedano l’innesto di nuova architettura. Al principio si è associato il presidente del consiglio nazionale degli architetti, Cappochin, il quale ha illustrato una proposta tesa ad assicurare, con i concorsi di progettazione, la giusta qualità dei progetti.
Insomma, si stanno prefigurando nuovi preoccupanti scenari per le città italiane, che fanno sperare ben diversi e più qualificati metodi di approccio culturale al patrimonio edilizio storico, a tal punto conseguibili solo grazie a un forte rinnovamento delle rappresentanze politiche nazionali.
Tramontato illusoriamente l’incondivisibile modello culturale berlusconiano di sviluppo, risulta deludere la deriva dell’attuale sinistra italiana la quale giunge a far concludere che quella che rappresentava storicamente una sua prerogativa -ovvero la difesa del primato della corretta pianificazione e della tutela del territorio- debba risultare ormai solo prerogativa di poche e apparentemente anacronistiche “anime belle”.