Roma: l’Area Archeologica Centrale per il futuro della città – interventi e materiali

Roma: l’Area Archeologica Centrale per il futuro della città – interventi e materiali

Il 10 ottobre 2023 si è tenuto l’incontro ROMA: L’AREA ARCHEOLOGICA CENTRALE PER IL FUTURO DELLA CITTÀ  presso l’ Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’arte, a cura delle associazioni Ranuccio Bianchi Bandinelli e Carteinregola in collaborazione con Roma Ricerca Roma e Tutti per Roma Roma per tutti*.

L’intento era ripercorrere le fasi principali del Progetto Fori e della sistemazione dell’Area archeologica centrale e avviare un confronto sui programmi dell’Amministrazione capitolina, in particolare riguardo il Progetto CArMe (Centro Archeologico Monumentale di Roma), a cura di Walter Tocci, affinché scelte tanto importanti per il futuro di Roma possano coinvolgere l’intera città.

Sono intervenuti: Rita Paris, Vezio De Lucia, Anna Maria Bianchi Paolo Gelsomini, Mirella Di Giovine, Walter Tocci, Anna Maria Bianchi, Emma Amiconi, Barbara Pizzo, con il coordinamento di Roberto Scognamillo.

VIDEO PARTE 1

VIDEO PARTE 2

INTERVENTI (clicca sul titolo per leggere l’intervento)

Intervento di Rita Paris

Siamo qui per riaffermare la necessità di dare corso a un diverso assetto dell’area archeologica centrale di Roma, nel suo insieme e in continuità con le parti di tutto l’ambito monumentale, oggi separate in modi diversi, per un rinnovamento della città degno delle proprie antichità.

Rincresce nei confronti di cittadini e turisti non rendere pienamente comprensibile la connotazione del luogo, le cinque piazze dei Fori imperiali, cuore della vita civica della città antica, costruite in successione, per la narrazione della storia, dei valori ideologici, politici, culturali, sociali di Roma e dell’impero romano.

Tra le tante tante opere che hanno trasformato il carattere di questa città che ha sempre dovuto fare i conti con l’antico, in questo caso si deve e si può recuperare l’interezza degli spazi antichi poiché l’interesse pubblico e la ricchezza del patrimonio sepolto sono preminenti rispetto alle sistemazioni realizzate nel secolo scorso.

Gli scavi eseguiti alla fine degli anni 90, nell’area già occupata dai giardini di Via dell’Impero, hanno incrementato la conoscenza, con risultati importanti, ma hanno lasciato una situazione incomprensibile nella lettura di quanto riemerso, priva di attrazione, determinando comunque una modifica della originaria situazione. Citando Pavolini, “un grande scavo senza un dibattito”; la più deprimente assenza di elaborazione progettuale come dichiarato da Raffaele Panella. Il fallimento di un grande programma come affermato da Adriano La Regina.

La chiusura al traffico della via da parte del Sindaco Marino ha aperto un nuovo scenario e nel 2014 la Commissione paritetica MIBACT-Roma Capitale presieduta da Giuliano Volpe ha prodotto un documento ben approfondito nella prima parte, lasciando tuttavia irrisolti tutti i problemi. In questo lavoro è intervenuto Adriano La Regina con una relazione di minoranza: l’area archeologica sarà sempre separata dalla città fino che vi sarà questo asse stradale a un livello superiore, che resterà tale anche senza le auto.

Tutte le aspettative sono ora nell’interesse mostrato sin dall’inizio da questa Amministrazione capitolina e nel lavoro di Walter Tocci, di cui si tratterà, in una condizione che si auspica sia concentrata sui soli aspetti culturali e in un momento – il primo direi – in cui vi sono le risorse per realizzare, in vista della metropolitana e delle uscite a quota archeologica. Il Sindaco potrà avviare con il Ministro della Cultura approfondimenti culturali nella fase del Piano strategico sull’assetto della strada e per le antichità ancora sotterrate.

La sistemazione dell’area archeologica centrale non può che essere realizzata con un metodo culturale alla base di un grandioso sviluppo di tutta la città basato sui suoi caratteri storici per dare vita alla conoscenza del passato in una realizzazione contemporanea.

Intervento di Vezio de Lucia

Appunti e note sull’Area archeologica centrale

Un secolo fa da piazza Venezia non si vedeva il Colosseo. Dove sta adesso la via dei Fori Imperiali, e sopra i resti dei Fori di Traiano, di Augusto, di Nerva, di Cesare, del Tempio della Pace, si trovava un vasto quartiere cresciuto nel corso dei secoli dopo la caduta dell’impero romano. A ridosso della Basilica di Massenzio, si alzava la collina della Velia (che raccordava l’Esquilino al Palatino) sovrastata dallo splendido giardino di Palazzo Rivaldi. Fu tutto travolto per volontà di Benito Mussolini che volle, nel cuore di Roma, una strada adatta alle parate militari, in uno scenario che doveva celebrare la continuità fra l’impero romano e il regime fascista. Perciò fu scelto un tracciato “dritto come la spada di un legionario”, furono demoliti chiese, case e palazzi, migliaia di sventurati abitanti furono sgomberati e in gran parte deportati nelle borgate che in quegli anni cominciavano a essere costruite dal Governatorato.

Le conseguenze degli sventramenti furono letali. Attraverso le vie dei Fori Imperiali e del Teatro di Marcello, via del Plebiscito – corso Vittorio Emanuele, il Corso, via Nazionale – via IV novembre, da ogni punto cardinale il traffico converge a piazza Venezia, ombelico del mondo. Per la via dei Fori transitavano 60 mila auto al giorno.

Nel dopoguerra Leonardo Benevolo fu il primo a riprendere il problema dei Fori in un libro geniale, Roma da ieri a domani, Laterza, 1971, che propone di sovvertire l’assetto del centro storico, conservando gli edifici antichi, demolendo molti di quelli costruiti dopo l’Unità, sostituendo con spazi aperti gran parte delle strade costruite a seguito degli sventramenti post-unitari, fra questi la via dei Fori Imperiali.

Otto anni dopo, nell’aprile del 1979, fu il soprintendente archeologico Adriano La Regina a formulare per la prima volta in una sede istituzionale l’ipotesi della chiusura della via dei Fori, e poco dopo ne propose la soppressione nel tratto tra piazza Venezia e lo sbocco di via Cavour, “al fine di restituire unità al complesso monumentale più significativo che esista, inutilmente sepolto dall’asfalto”. Non più guastati dalla strada che insensatamente li sovrasta, i Fori di Traiano, di Augusto, di Cesare, di Nerva, il Tempio della Pace dovevano essere trasformati in spazi pedonali, cinque piazze senza pari al mondo per tenere insieme passato e futuro. Per la prima volta i resti archeologici non sarebbero stati racchiusi in un recinto specializzato, equiparati invece “ad altre parti storiche – medievali, rinascimentali, barocche – che la città non ha mai smesso di usare” (Italo Insolera e Francesco Perego, Archeologia e città, Laterza, 1983).

Con l’elezione a sindaco di Luigi Petroselli, quando Argan si dimise, il Progetto Fori – come allora veniva definito il dibattito sull’area archeologica – fu al centro della vita politica e culturale. Nei due anni che corrono dalla sua nomina a sindaco (27 settembre 1979) alla repentina e prematura scomparsa (7 ottobre 1981) il recupero dei Fori, che sembrava a portata di mano, mobilitò le migliori energie, raccolse un consenso vastissimo, dalle autorità di governo alla grande intellettualità internazionale, agli abitanti delle borgate che si stavano risanando. L’esordio del sindaco Petroselli in materia di archeologia fu lo smantellamento della via della Consolazione che separava il Campidoglio dal Foro Repubblicano e l’eliminazione del piazzale fra il Colosseo, l’arco di Costantino e il resto del complesso Foro – Palatino. Si ricostituì così l’unità Colosseo – Foro Romano – Campidoglio e la continuità dell’antica via Sacra. E il Colosseo non fu più uno spartitraffico.

Ma il 7 ottobre del 1981 Petroselli improvvisamente morì, a quarantanove anni. E con lui finirono il Progetto Fori e tutte le cose che aveva cominciato a fare per Roma. Cederna scrisse su Rinascita dello “scandalo” di Petroselli: lo scandalo di un sindaco comunista che aveva capito, a differenza di tanti anche autorevoli storici e intellettuali, l’importanza del passato nella costruzione del futuro di Roma.

Per quanto mi riguarda, continuo a pensare che sia stata quella la stagione più luminosa dell’urbanistica di Roma capitale e sono certo che sulla stessa posizione sia la maggioranza dell’Associazione Bianchi Bandinelli. 

Dopo la morte di Petroselli, opportunismo, buonsenso, prudenza, avvolsero lentamente il progetto. I tempi si prolungarono all’infinito. Il successore Ugo Vetere non smentì mai il programma di Petroselli, ma ne rallentò il passo. Decisamente contrari furono gli storici Cesare Brandi, Giuliano Briganti e Federico Zeri. Su la Repubblica Cederna restò isolato e le pagine culturali furono in prevalenza occupate da chi contrastava il nuovo assetto dell’area archeologica.

Nel 1993, la sinistra tornò in Campidoglio con Francesco Rutelli sindaco. Ma la svolta non ci fu. Anzi Rutelli (che pure aveva firmato la proposta di legge di Cederna del 1989 Interventi per la riqualificazione di Roma Capitale della Repubblica) dichiarò che la via dei Fori non doveva essere eliminata. Dopo Petroselli tutti gli altri sindaci hanno continuano a evocare il Progetto Fori, ciascuno intendendo una cosa diversa, comunque mai mettendo in discussione la sopravvivenza della strada (con la sola eccezione di Ignazio Marino e dell’assessore Giovanni Caudo che rilanciarono il progetto all’inizio della loro sfortunata esperienza amministrativa).

All’archiviazione del Progetto Fori ha burocraticamente contribuito la Soprintendenza ai beni architettonici con un vincolo del 2001 sulla via dei Fori che da allora è tutelata al pari dei sottostanti resti archeologici. Leonardo Benevolo scrisse sul Corriere della Sera che era “diventato illegale il disseppellimento degli invasi dei Fori di Cesare, Augusto, Vespasiano, Nerva e Traiano, che renderebbe percepibile ai cittadini di oggi uno dei più grandiosi paesaggi architettonici del passato – e fu colto da un sentimento di sconcerto e di rabbia”.

Si deve a Walter Tocci assessore alla mobilità l’azzeramento del traffico sulla via dei Fori, traffico per il quale è più che sufficiente la via Alessandrina (l’unica strada storica sopravvissuta allo sventramento fascista) che però si sta insensatamente demolendo.

Walter Tocci è anche l’autore del recentissimo e brillante Rapporto sul centro archeologico monumentale di Roma (CArMe), centrato sull’importanza del piano strategico che dovrebbe “riscoprire la prossimità delle antiche piazze imperiali rispetto alla vita cittadina. Questa opera materiale e immaginaria non è riducibile a una tardiva e pur necessaria sistemazione delle aree scavate, ma deve fondarsi su una nuova interpretazione della contemporaneità dell’antico” (p. 6).

Prima di concludere, un omaggio ad Antonio Cederna e al suo capolavoro Mussolini urbanista, Laterza 1979, riprendendo poche righe della biografia di ciascuno dei sette principali sventratori della Capitale cui si deve la Roma di oggi.

Brasini Armando (1853-1947)

Autodidatta, è il campione del titanismo di cartapesta, del pompierismo ipermonumentale e della carnevalata neoromanesca. Nel 1916 progetta l’Urbe Massima, una nuova città lungo la Flaminia fatta di propilei, archi di trionfo, fontane, ninfei, terme, cascate, porticati “di inaudite dimensioni”, colonne onorarie e il restante repertorio della retorica sventratoria. Ma nel 1930 nel suo “progetto di piano regolatore” distrugge il centro storico per la realizzazione della via Imperiale, dalla Flaminia (a Nord) all’Appia (a Sud).  Fra le maggiori opere realizzate: il ponte Flaminio e il Tempio della Pace in piazza Euclide. Il suo capolavoro sono le teste di elefante all’ingresso del giardino zoologico del 1909.

Giovannoni Gustavo (1853-1947)

Nella sua opera fondamentale Vecchie città e edilizia nuova è fautore del “diradamento edilizio”, ma quando dalla teoria passa alla pratica finisce con il proporre e sostenere i peggiori sventramenti rivelandosi il più pericoloso di tutti perché autorevole e serio come studioso. Con il gruppo La Burbera firma un piano che annienta il centro barocco della capitale, tanto da farsi duramente criticare dallo stesso Piacentini in una famosa polemica sul Giornale d’Italia. All’insania urbanistica unisce quella architettonica: la piazza assiro-babilonese disegnata all’incrocio del “cardo” e del “decumano” dalle parti di piazza S. Silvestro ne è un esempio obbrobrioso.

Muñoz Antonio (1844-1960)

Dalla fine del 1928 al 1944 è colui che dirige e realizza tutti i maggiori raschiamenti, isolamenti, sventramenti nel centro di Roma. È il braccio esecutore della Roma di Mussolini, il regista del più vasto teatro di demolizioni della storia moderna, è l’autentico “mastro ruinante” di Roma, in nome del traffico, della romanità imperiale, della boria fascista e di altre volgarità. Sono opera sua la via dell’Impero e la via dei Trionfi, la via del Mare e l’isolamento del Campidoglio e dell’Augusteo, la sistemazione di largo Argentina. Le fotografie lo mostrano sempre un passo indietro a Mussolini, che egli sobilla e persuade come uno Jago maligno.

Ojetti Ugo (1871-1946)

Non c’è stato intellettuale fascista più fascista di lui. Nemico giurato d’ogni forma d’arte e architettura moderna, può essere considerato l’arbitro incontrastato del cattivo gusto del ventennio fascista. Decadente e scettico, è estasiato di servire; ricoverarsi “con disciplina sotto il governo dell’autorità” è il suo testamento spirituale: “ho chinato il capo e così sia” è il suo querulo commento quando le sue proposte non trovano accoglimento. Fu soprannominato Sua Eccellenza Archi e Colonne, perfino Piacentini gli pare a tratti un pericoloso innovatore.

Piacentini Marcello (1881-1960)

Nemico giurato d’ogni forma d’arte e architettura moderna, è il maestro insuperabile del doppio gioco e della riserva mentale: nei suoi innumerevoli scritti sostiene tutto e il contrario di tutto, e parte sempre dalla necessità di conservare “questa nostra e cara e vecchia Roma” per proporne, nel capoverso seguente, la distruzione. Sventra i Borghi e costruisce “l’obbrobrio” di via della Conciliazione. Con Brasini sostenne lo sviluppo di Roma a Nord, ma da sovrintendente per l’architettura all’E42 e sostenne lo sviluppo di Roma verso il mare, che riconferma nel progetto di variante 1941-1942, che detterà legge negli anni successivi, tanto che si può dire che la deforme Roma odierna sia sostanzialmente quella voluta da Piacentini.

Ricci Corrado (1858-1934)

La sua vecchia cultura lo preserva in parte dalla volgarità generale. Nel 1911, per il cinquantenario dell’Unità d’Italia, collabora alla realizzazione della zona monumentale delle adiacenze delle Terme di Caracalla e prefigura quella che sarà la via dell’Impero con l’isolamento dei Fori imperiali. Ma il suo discorso al Senato per l’approvazione del micidiale piano regolatore del ’31, è una penosa testimonianza di piaggeria e di insipienza storico urbanistica. Si rallegra, tra l’altro, all’idea della progettata distruzione del Campo Marzio e del quartiere del Rinascimento per la realizzazione del famoso “cannocchiale” caro a Piacentini, dal Corso alla cupola di S. Pietro.

Testa Virgilio (1889-1978)

È il personaggio che meglio esprime la continuità dell’urbanistica romana, tra fascismo postfascismo, uniti nel fare del proprio peggio. La sua maggiore impresa che porta a termine negli anni Cinquanta e Sessanta è l’espansione di Roma verso il mare, da lui teorizzata fin dal 1928 al primo congresso dell’Istituto di studi romani. Nel 1951 (per interessamento di Andreotti) diventa commissario straordinario dell’Ente autonomo esposizione universale (EUR) e nel volume La vita di un urbanista e un capolavoro: l’EUR, 1976, a cura del Rotary, egli racconta in terza persona, come Giulio Cesare, la propria straordinaria carriera di un uomo predestinato alla salvezza di Roma.

Riassumendo, è passato più di mezzo secolo da quando, nel 1971 Leonardo Benevolo riprese la discussione sul progetto Fori e sono passati più di quarant’anni dalla morte di Luigi Petroselli, il sindaco che ricompose l’unità dello spazio storico fra Colosseo e Campidoglio. Spero che l’iniziativa di oggi sia utile a ricordare che continua a essere trascurato il futuro dell’area archeologica centrale più importante del mondo.

Concludo con Walter Tocci che c’è bisogno di immaginare una nuova stagione di dibattito e l’elaborazione del piano strategico “è l’occasione per invitare tutti gli orientamenti culturali al dialogo su nuove basi, con l’obiettivo di condividere almeno alcuni indirizzi fondamentali (p, 53).

Intervento di Paolo Gelsomini

Il PRG di Roma attribuisce agli Ambiti di Programmazione strategica la funzione di riscoprire e valorizzare le grandi tracce della morfologia urbana con una definizione di elementi naturali, direttrici e tracciati storici messi tra loro in relazione.

Tra questi Ambiti di Programmazione Strategica c’è il Parco dei Fori e dell’Appia Antica.

Questo Ambito di Programmazione Strategica non è mai stato sviluppato né trasformato.

Ora c’è l’occasione per farlo.

Quello che abbiamo capito è che il bando di concorso internazionale di architettura pubblicato per la realizzazione della Nuova Passeggiata Archeologica costituisce solo un primo passaggio all’interno del grande disegno di trasformazione del Centro Archeologico Monumentale di Roma e che questa prima fase di programma operativo 2024-2027 anticiperà e renderà comprensibili gli obiettivi del successivo Piano Strategico in una sorta di connessione tra l’azione a breve termine e il disegno di lungo periodo.

Quindi, il Piano Strategico che seguirà e che dovrà essere approvato in Campidoglio entro il 2024, dovrà essere un grande processo partecipato e condiviso con tutti i soggetti in campo, istituzionali, culturali e civici presenti nella città ed attivi da decenni su questi temi;

dovrà connettere le singole parti del sistema in un’ampia visione spaziale e temporale e dovrà attivare altre opere oltre quelle previste dal primo bando di qualche giorno fa.

E siccome è il Piano Strategico a definire i contenuti e i tempi dei Programmi Operativi, questi non potranno più limitarsi ad essere, come in questa prima fase, “semplici allestimenti di una articolazione di spazi pedonali che migliorino la vivibilità dell’asse di via dei Fori Imperiali” o “semplici sistemazioni di tracciati trasversali e di anelli pedonali con relative installazioni di attrezzature di arredo urbano”.

L’area dei Fori può diventare davvero il centro della Civitas ed i monumenti e le piazze possono essere sottratti al ruolo di quinta teatrale per diventare parte viva della città contemporanea e le antiche piazze possono essere sottratte al loro aspetto di buca archeologica per diventare spazio sociale; ed archeologia, architettura ed urbanistica possono fondersi per creare Città Pubblica; ed il verde può essere parte integrante di un nuovo paesaggio dove colloquiano passato, presente e futuro e dove la continuità di una narrazione dei Fori possa essere ricostituita con una molteplicità di punti di vista e con una molteplicità di quote di osservazione e di tracciati.

Se questi concetti, come spero, potranno essere messi alla base del futuro Piano Strategico, come può essere compatibile con essi la permanenza dello stradone di via dei Fori Imperiali che nasconde ancora brani fondamentali del tessuto urbanistico dei Fori, che impedisce la loro piena rivelazione, la loro lettura storica, la loro stessa comprensione formale?

La forzata visione assiale unidirezionale della strada del ventennio, nata per altri scopi e per altre visioni, rende impossibile una percezione degli spazi che è al contrario multidirezionale, complessa, aperta ai collegamenti trasversali con altre parti dell’area archeologica centrale e della città.

Tutta la Città dovrà sentire l’Area archeologica centrale come la sua storia, non quella pietrificata delle quinte teatrali o delle buche archeologiche, ma quella della Civitas, dell’incontro della Storia con la contemporaneità, delle relazioni spaziali su diverse quote e lungo diverse direzioni longitudinali e trasversali.

E la Valle dei Fori con tutto il Centro Archeologico Monumentale  dovrà andare incontro alla Città per ricostruire una continuità attraverso l’antica topografia, per collegarsi a Monti, al Colle Oppio, al Colosseo, al Celio, dove sta procedendo sotto il Tempio del Divo Claudio accanto al Giardino Vitruviano e alla Forma Urbis Severiana e all’Antiquarium il progetto di riqualificazione del Parco avviato da un’associazione di cittadini e proseguito dalle istituzioni, al Circo Massimo, all’Appia Antica, al Palatino, al Campidoglio, al Velabro, al Campo Boario, a Campo Marzio, fino ad abbracciare il suo Fiume, ripercorrendo i tracciati, costruendo nuove assialità, nuove misure spaziali e nuove simbologie desunte dall’antico, nuovi piani di collegamento, nuove terrazze, nuovi punti di osservazione, nuove relazioni. Quello che dovrà venir fuori dal Piano Strategico sarà un’immagine, un sogno, una visione, un nuovo sistema di relazioni storiche e spaziali tra le varie parti della città e tra le persone. Ma questo Piano Strategico per la Città dovrà per davvero essere di tutta la Città.

Intervento di Mirella di Giovine

Il sistema archeologico di Roma dal Centro Archeologico Monumentale all’Agro

Affinchè il Centro archeologico Monumentale sia percepito come “bene comune” di tutti i romani, di tutte le classi sociali, dei residenti e dei visitatori occorre coinvolgere nel programma l’intera città, con tutte le aree archeologiche e i diffusi beni culturali dell’antico presenti nei territori più esterni. Perché l’assetto antico riguarda l’assetto di tutta la città.

La Roma imperiale era, una città molto estesa, che si espandeva dal centro, il luogo dei Fori, della vita pubblica, fino agli attuali confini comunali con ville imperiali, ville rustiche, aree di necropoli, insediamenti minori, a partire dalla struttura radiale delle infrastrutture consolari, dei grandi  acquedotti.

Ancora oggi, nonostante lo sviluppo edilizio disordinato e l’abusivismo sfrenato, è possibile individuare aree e sistemi archeologici, importanti preesistenze, nelle aree esterne alla città storica, oltre il GRA.

Il programma CArMe punta, quindi, a superare la sua sconnessione con i sistemi archeologici delle aree più esterne, cosiddette del “suburbio romano” e dell’Agro, dove si trovano risorse diffuse di grande interesse culturale,e che sono strettamente connesse anche al patrimonio di capitale naturale, alla rete ecologica, e alla rete di mobilità più recente, realtà spesso relativamente poco conosciute e valorizzate. Pertanto il sistema della Rete ecologica si integra con il sistema archeologico esteso e quindi con il sistema della mobilità.

Pensiamo ad esempio al sistema Ad duos Lauros, Villa De Sanctis, al Parco archeologico di Centocelle, Pratone di Torre spaccata, al parco di Gabi, all’ intervento per Villa Settebassi,  della via Latina,  del parco archeologico di Laurentino, Crustumerium della Marcigliana, Villa delle Colonnacce,  Casalotti ecc

Il programma CarMe intende coinvolgere tutta la città per ricostruire il sistema archeologico esteso ai territori più esterni.

Certamente l’esempio più eclatante di è rappresentato dalla connessione che Carme punta a stabilire con l’esteso sistema archeologico dell’Appia Antica, attraverso nuovi percorsi, la Casina Bocca Paduli e la nuova mobilità dedicata, archeobus ed archeometrebus, la stazione di Torricola.

Quindi affinchè l’area centrale, che permette ai romani e al mondo intero di conoscere l’antica struttura della città, sia luogo vivo e centrale dell’assetto complessivo della città, contemporanea, occorre riequilibrare il rapporto con i quartieri più esterni, del “suburbio” e della campagna.  E’ necessario ricostruire l’esteso sistema di tracce di insediamento della città antica su tutto il territorio, con la duplice funzione di : generare un processo diffuso di rigenerazione culturale ed ecologica e di nuovo assetto per l’intera città, consentire di rispondere alle istanze dei cittadini. Gli esempi sono tanti.

In questi anni è fortemente cresciuta da parte di tante associazioni, comitati e cittadini dei quartieri più periferici la consapevolezza del valore archeologico e naturalistico di alcune aree presenti o tangenti i loro quartieri, per le quali hanno anche formulato specifiche proposte perché siano recuperate e valorizzate.

A livello più generale i miglioramenti previsti per la rete del ferro e la rete prevista di mobilità dolce possono rappresentare le strutture di connessione essenziali per ricostruire un grande sistema archeologico fruibile per i cittadini, e per una migliorata qualità urbana, ed un modello di città basato sui sistemi culturali e dello spazio pubblico, utile anche per un’offerta turistica molto più diffusa.

CArMe prevede di dar luogo ad un efficace sistema di parchi o siti archeologici, strettamente connessi alla rete ecologica e alle strutture di mobilità del ferro, e della mobilità dolce attraverso interventi di restauro, valorizzazione e recupero, con specifici finanziamenti comunali, e statali.

Ai fini della costruzione strategica di tale sistema archeologico diffuso, Carme propone di individuare e procedere alla contestuale realizzazione/riqualificazione di un’area o sito archeologico, significativo in ciascun Municipio per rafforzare il sistema, stabilendo una sorta di gemellaggio con gli interventi realizzati per il CArMe, che l’accomuni così all’area archeologica centrale, strettamente interrelata con sistemi di mobilità del ferro e/o della mobilità dolce.  Possiamo pensare cosi alla definizione di un vero “sistema di infrastrutture culturali ed ecologiche” basate sulla mobilità per tutta la città.

Tali interventi, peraltro, si possono coordinare ed integrare efficacemente con quanto già previsto per gli interventi finanziati nei programmi Caput Mundi, URBS e Giubileo 2025 del MiC e di Roma Capitale in cui molti sono già finanziati.

Inoltre per approfondire e diffondere la cultura dell’archeologia  sull’intero territorio, il programma prevede di intervenire con la Rete delle Biblioteche di Roma Capitale, già esistenti e future (previste nel programma P.U. I Poli Civici, finanziamento PNRR), veri centri culturali, per collocare in queste sedi elementi informativi della specifica realtà territoriale archeologica di riferimento e dell’area centrale, prevedendo ove possibile la collocazione di eventuali reperti riferiti ai contesti locali.Questo sottolinea l’ importanza di rafforzare la conoscenza e la partecipazione diffusa ed attiva sul  progetto, anche attraverso programmi con le scuole.

Concludo augurandomi che questa apertura alla città di Carme per costruire infrastrutture pubbliche culturali basate sull’ archeologia, sulla storia della città, possa concretizzarsi in una visione per un nuovo modello complessivo della nostra città, che possa coniugare vivibilità e cultura.

Intervento di Anna Maria Bianchi Missaglia

Desidero esprimere apprezzamento per il Progetto CArMe, in particolare per l’intenzione di  di restituire una visione d’insieme all’area archeologica centrale e nello stesso tempo irradiarsi dal centro a tutta la città, per ricostruire un’identità da troppo tempo smarrita.

Ma voglio ricordare il motivo per cui, insieme alle altre associazioni,  abbiamo voluto organizzare questo incontro.

Come è noto, nel luglio scorso il progetto CArMe è stato attaccato da numerosi articoli di un quotidiano romano, e a inizio agosto  è stato oggetto di un incontro tra il Ministro della Cultura e il Sindaco di Roma Capitale, nel quale il Ministro ha fissato una serie di vincoli, il cui senso è il mantenimento dello “status quo” di Via dei Fori Imperiali, a partire dalle dimensioni della carreggiata e dei marciapiedi.

In realtà tale intervento istituzionale, alla luce di quanto poi pubblicato dopo la conferenza stampa del 6 ottobre 2023 ,  non appare necessario, visto che le richieste del Ministro si riferivano  al Piano operativo del Progetto CArMe, quello che, non solo nel recente bando del concorso internazionale, ma già negli interventi per il Giubileo 2025 approvati dal Governo nel DPCM dell’8 giugno scorso, conteneva ampi riferimenti  alla “reversibilità” degli allestimenti (con l’esclusione di alcuni percorsi su passerelle sull’area archeologica).   

Allora qual è il punto? Chiaramente l’alto là del Ministro si riferisce a un nodo irrisolto da anni, il più forte ostacolo a qualsiasi intervento strutturale, che è quello del futuro di Via dei Fori Imperiali.

Da anni si parla della risistemazione dell’area archeologica centrale, ma le iniziative si sono sempre fermate di fronte all’eliminazione del tratto  tra Piazza Venezia e Largo Ricci, l’anacronistica autostrada che spezza la continuità dei Fori di Traiano, di Augusto, di Nerva e il Tempio della Pace.

Con il completamento del percorso della Metro C fino a Farnesina non sarà più necessario il passaggio del trasporto pubblico e l’area archeologica centrale potrà essere restituita alla cittadinanza.

L’obiettivo della sostituzione di quel  tratto di strada con un nuovo spazio pubblico è contenuto nel Piano strategico, il progetto di maggiori ambizioni e più lungo orizzonte temporale, sul quale  il dictat del Ministro sull’ obbligo di non modificare  via dei Fori Imperiali  per permettere la parata militare  – ribadito nel testo del concorso 8 volte – , rischia di essere una pietra tombale, almeno per la possibilità di  ripensare  l’attuale assetto di Via dei Fori Imperiali.  Un’intangibilità che come sappiamo non riguarda solo la Festa della Repubblica del 2 giugno, ma anche le radici storiche e ideologiche in cui affonda la costruzione della strada.

Purtroppo in questi anni il dibattito sul destino dei Fori si è man mano affievolito,   tornando appannaggio del ristretto giro degli intellettuali e degli addetti ai lavori, perdendo la carica dirompente e popolare che aveva raggiunto grazie all’impegno di tanti straordinari protagonisti, a cominciare da La Regina, Cederna e Petroselli. 

Eppure il riscatto di una città sempre più decadente e disuguale può passare anche dai Fori, da un progetto in grado di restituire identità, storia e dignità alla Capitale, a condizione che si costruisca un grande momento di confronto collettivo, dal centro alle periferie, offrendo  ai  cittadini intrappolati nella quotidianità  del traffico e dei rifiuti, un orizzonte comune in cui lasciare il segno.

Chiediamo

  • Che vengano rimnessi in discussione i vincoli posti sulla intangibilità dell’attuale assetto di Via dei Fori Imperiali aprendo a una  visione di Roma che da troppo tempo  aspetta di essere realizzata. Non è accettabile che una delle aree archeologiche più suggestive e importanti del mondo debba conservare al suo interno uno spazio incongruo e sconfinato,  funzionale solo a una parata militare una volta all’anno.
  • Di allargare ai cittadini il dibattito sul destino dell’Area archeologica centrale e sul Piano strategico, e prima di qualsiasi delibera e di qualsiasi concorso pubblico, cittadini del centro storico come dei Municipi, dato che si tratta di un’area  che riguarda l’identità e la storia di Roma, da decenni oggetto di straordinarie idee che, nonostante gli annunci, nessuno ha finora avuto il coraggio di affrontare.
Intervento di Emma Amiconi

Con la pubblicazione del concorso internazionale di progettazione, del comunicato del sindaco Gualtieri e, finalmente, dopo l’ottima relazione di stasera di Walter Tocci sul progetto CArME, si chiude un periodo di incertezza informativa e di confusione interpretativa che ci avevano impensieriti non poco.

Dallo studio della documentazione ufficiale e dalla conoscenza più approfondita dell’insieme degli interventi che Roma Capitale intende avviare e che si propone di attuare nei prossimi anni emerge un quadro di estremo interesse: in continuità con altri studi del passato e con una rinnovata volontà politica, finalmente la grande questione dei Fori emerge come una opportunità eccezionale per tutta la città. Il progetto ha tutti i numeri simbolici, storici, identitari per aggregare consenso e per dare slancio al senso di appartenenza alla città capitale da parte dei suoi cittadini, per esercitare cioè un ruolo propulsore come aggregatore di consenso e di interesse, prima che per i visitatori e i turisti, per gli stessi cittadini. L’appartenenza, il sentirsi parte di una comunità attraverso la dimensione dell’identità è del resto una componente essenziale del più largo dispositivo della cittadinanza.  Il progetto Fori costituisce inoltre anche uno spazio per la riappropriazione della bellezza, per apprezzare la complessità, la progettualità, il valore delle competenze. Mette insieme archeologia, storia, urbanistica, cultura, mobilità, passato, presente e futuro e ci fa intravedere perfino l’opportunità di riuscire, in futuro, a rivedere l’uso oggi del tutto inadeguato di via dei Fori.

Questa potenzialità, che potrebbe anche rappresentare una opportunità di alleanza tra la politica, il mondo scientifico, la cittadinanza per il bene della città (e a fronte delle intuibili difficoltà che interverranno per portare a termine l’intero progetto, ce ne sarebbe davvero bisogno), per essere pienamente giocata, ha bisogno però di un bagno di realtà: in questo periodo Roma è più che mai divisa, diversa nelle sue mille specificità locali, avara di passione verso i progetti ritenuti troppo grandi, troppo complessi, troppo lunghi, troppo costosi. La tensione, e anche le variegate forme di partecipazione esistenti, si rivolgono prevalentemente al funzionamento dei servizi e alle questioni fondamentali: rifiuti, pulizia dei luoghi pubblici, mobilità, trasporti, casa. Anche la presenza turistica, tanto più in vista del Giubileo, rappresenta per molti un motivo di fastidio e di preoccupazione. Non è questo ovviamente il luogo per affrontare tali tematiche, che però vanno tenute presenti perché costituiscono allo stesso tempo un limite ed una sfida rispetto al lancio e all’attuazione del progetto, e alla sua effettiva connessione con il resto della città, tra il centro ed i quartieri periferici. Converrà a tutti avere la città partecipe e convinta della bontà dell’operazione, ma questo risultato non è scontato.

Ulteriore aspetto che vorrei mettere in evidenza anche in linea con la storia e le pratiche del gruppo Tutti per Roma.Roma per tutti, riguarda il fatto che, più di una volta, è stata dichiarata la volontà di realizzare forme di partecipazione alla definizione del Piano Strategico di CArMe , che dovrà essere approvato da Roma Capitale entro dicembre 2024. In questo senso mi sento di esprimere una osservazione ed una raccomandazione.

L’osservazione riguarda la indispensabile presenza della comunità scientifica e del mondo della cultura. E’ essenziale che si trovino forme e spazi per aumentare e consolidare il coinvolgimento di queste componenti che fino ad oggi sono state piuttosto silenti, fatta eccezione ovviamente per chi stasera è qui con noi e di alcuni pur ragguardevoli interventi già acquisiti nel dibattito pubblico sviluppatosi negli ultimi mesi.

La raccomandazione riguarda invece la partecipazione dei cittadini, parola magica che viene evocata sempre più spesso dalle amministrazioni pubbliche, salvo poi darle seguito, quando va bene, con mere iniziative di informazione, comunicazione, qualche volta di consultazione, che però raramente portano a quello che dalla partecipazione dovrebbe risultare, ovvero un cambiamento reale rispetto a quanto già deciso, almeno in parte, accogliendo il loro punto di osservazione, la loro competenza civica. Il successo della partecipazione si misura sugli effetti che ha prodotto in termini di cambiamento. Se accettiamo, infatti, che partecipare significa, per i cittadini, concorrere alla messa in opera di finalità, programmi e attività connessi all’interesse generale, attraverso una molteplicità di forme, procedure e modalità operative di carattere collettivo, sarà opportuno che il percorso partecipativo venga predisposto con estrema attenzione. Serviranno metodologie, mezzi tecnici ed economici, tempo, informazione diffusa e accurata, ma specialmente andrà stabilito esattamente a cosa saranno chiamati a partecipare i cittadini, senza dimenticare i giovani e gli studenti, e perché. Di fronte ad un Piano strategico tanto accurato come quello che ci è stato raccontato stasera la raccomandazione mi sembra più che legittima.

Intervento di Alessandra Valentinelli

Da sempre nella storia di Roma l’assetto dell’area archeologica centrale riflette l’assetto dell’intera città; perciò molti studiosi contemporanei e qualche amministratore si sono battuti perché “andare al centro” non fosse solo la méta attrattiva del patrimonio antico ma rivestisse un valore civico, pubblico, sociale per tutta la collettività.

Nell’ultima versione di Roma moderna del 2011, Italo Insolera dedica uno dei due capitoli conclusivi all’Appia antica. Pur essendo tra i primi e più convinti sostenitori della tutela dell’Appia, è la prima volta che alle riflessioni sparse tra i capitoli, Insolera aggiunge un capitolo a sé stante, il 30. Il capitolo è introdotto dalla proposta di “parco archeologico” del 1887 che avrebbe dovuto integrare le previsioni del PRG Viviani del 1883 e invece resterà il primo di una lunga teoria di esercizi di stile: attestato a Porta Venezia, tra Campidoglio e Colosseo, il parco comprende Colle Oppio sino a San Martino ai Monti; attorno al Colosseo, il Circo Massimo fino al Tevere, le Terme e il Celio da Santo Stefano Rotondo a Porta Metronia, quindi il tratto tra Porta Latina e Porta San Sebastiano oltre la quale, il parco segue il tracciato originario. Insolera lo considera la prima visione unitaria del sistema Fori-Appia, e sottolinea come proprio la corretta collocazione dell’inizio dell’Appia a Porta Capena, non alle successive Mura Aureliane, qualifichi il parco di valenze non solo archeologico-monumentali ma complessivamente urbane.

Per figure quali Cederna e Insolera è subito chiaro che i Fori sono la testata “centrale” di un sistema urbano unitario, indissolubile dall’Appia “rurale”. Insolera insiste sin dalla prima versione di Roma moderna del 1962, sulla rilevanza del vincolo apposto all’Appia dal Ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini come “parco pubblico”, non solo per gli espropri che dovranno seguire, ma proprio per la scelta della destinazione d’uso; un’estensione ragguardevole di centinaia di ettari, non assimilabile ai pur immensi parchi ereditati dalle casate nobiliari ma analoga alle cinture boscate che le città europee vanno tutelando per fissare un limite al consumo di suolo; un parco quindi di scala urbana che interrompe la continuità del costruito e stabilisce un varco verde, vasto, fruibile, come noi oggi definiamo i “corridoi ecologici” e per Insolera è la “colonna vertebrale, la struttura in grado di costruire, al di la degli errori della Roma moderna, la vera Roma futura”.

Affinché una “colonna vertebrale” costruisca una struttura, non basta la testa, servono braccia e gambe, diramazioni che completando lo scheletro, consentano alla struttura di funzionare. Nel 1995, l’allora Sovrintendente Adriano La Regina assoggetta al vincolo da poco introdotto dalla Galasso per le “zone di interesse archeologico”, l’area dei vecchi SDO corrispondente all’antico compendio imperiale noto come “Ad duas lauros”. Per superare la contrarietà del Ministro Ronchey che vuole restringere tale vincolo alle aree adiacenti i beni monumentali, La Regina introduce il concetto dei “contesti di giacenza”, che identifica il valore paesistico dei territori dove si conservano i caratteri ambientali grazie ai quali si sono preservate anche solo le tracce dei monumenti antichi. Rimasti inedificati durante la grande espansione, i vecchi SDO sono infatti porzioni di Agro storico inglobate nella periferia consolidata, e lungo il previsto asse attrezzato formano un sistema continuo trasversale che connette l’Appia all’Aniene: aree dalle valenze ecologiche ormai elevate che continuano a svelare la presenza di tesori antichi confermando il duplice interesse ambientale e monumentale del vincolo voluto da La Regina; testimonianze dell’ampiezza della Roma imperiale che riconnettono ai Fori monumentali, una storia che ha sempre attraversato anche le periferie.

Oggi con le valli del Tevere o dell’Arrone, i parchi istituiti, l’Agro ancora integro e le ultime isole di verde urbano formano una rete ecologica unica tra le grandi capitali, ricca di permanenze antiche e ambientali, ancora segnata dalle relazioni secolari tra forre, marane, ville o acquedotti romani che ne hanno impresso le linee portanti di sviluppo; sono braccia e gambe del sistema Appia-Fori: i varchi ambientali con cui stringere un nuovo patto centro e periferie, il capitale di cui dispone la collettività romana per difendersi dai rischi climatici in un assetto della Roma futura che se saprà essere pubblico, ecologico, adattato al clima, anche la Roma più antica vorrà mostrare al mondo.

Intervento di Barbara Pizzo

Buonasera a tutte e tutti, e grazie all’Associazione Bianchi Bandinelli per aver proposto e organizzato questo incontro.

Prima di tutto mi presento, sono Barbara Pizzo, insegno Urbanistica alla Sapienza e rappresento l’associazione Roma Ricerca Roma.

Roma Ricerca Roma è un’associazione che raccoglie ricercatori delle diverse università, di altre istituzioni di ricerca, e ricercatori sociali, attenti al contesto romano.

Questa associazione è nata circa cinque anni fa su impulso di Walter Tocci. Da allora abbiamo fatto un bel tratto di strada assieme. Abbiamo collaborato, prima di tutto tra noi, per sviluppare una riflessione seria e propositiva sulla città. Ci proponevamo, prima di tutto, di ribaltare i modi più radicati e anche diffusi di pensare Roma, che tendono ad offuscare quanto c’è di buono, e a frenare, sottovalutare, sminuire le energie migliori, a partire da quelle presenti nella società civile.

Si può quindi immaginare il nostro entusiasmo e anche la nostra soddisfazione quando l’incarico per elaborare il progetto per l’area archeologica centrale, un progetto che “aspetta” da mezzo secolo, è stato affidato proprio a Tocci.

Allo stesso tempo, in questo lungo periodo nel quale il progetto è stato elaborato, abbiamo maturato e anche espresso qualche preoccupazione, le cui ragioni vorrei richiamare qui brevemente.

È stato ricordato, nell’introduzione di Rita Paris, come Adriano La Regina denunciasse la “separazione tra l’area archeologica e la città”. Una separazione che i più colti, lungimiranti e anche visionari tra gli studiosi e le studiose che si sono occupate del sistema archeologico romano hanno riconosciuto con grande intelligenza e sensibilità, provando a ridurla, a risolverla: una separazione che non è solo fisica-materiale.

L’area archeologica centrale deve assolutamente essere riconnessa alla città: sia fisicamente, materialmente, a partire dalla demolizione di Via dei Fori Imperiali, sia a livello immateriale, con un’operazione culturale, sociale e politica di superamento dei molti tipi e livelli di “separazione”, come le crescenti polarizzazioni, spaziale e sociale.

Ci si potrebbe chiedere come e perché l’archeologia possa (o debba) contribuire a questo obiettivo.

L’archeologia, il sistema archeologico a scala territoriale, offre un modo diverso di pensare la città, una chiave di lettura che permette di cambiare il modo di considerare i così detti “vuoti” (relazione tra sistema storico-archeologico e sistema ambientale-ecologico) e i così detti “resti” (relazione tra patrimonio storico e luoghi di vita – altro ‘tipo’ di patrimonio), li mette al centro e li integra nella vita quotidiana, divenendo luogo di apprendimento e di incontro.

Per questo, il progetto dell’area archeologica centrale deve essere non solo “presentato” e discusso con gli abitanti (questo ci sembra il minimo), ma dovrebbe essere il frutto di una costruzione collettiva, dovrebbe essere “il” tema, centrale, fondamentale, del ripensamento della città e del suo futuro. Un futuro che non può essere negato dalle scelte di una politica troppo concentrata sull’ “immediato” (sia in termini temporali che in termini di “occasioni da cogliere”, scelte magari importanti ma fatte una senza un “progetto di città”), un futuro che non può che essere radicato nel suo passato

Scarica la presentazione di Walter Tocci

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