Comunicato Associazione Bianchi Bandinelli, 2 aprile 2017
“Generazione cultura”, questo è il nome con cui è stato battezzato l’ennesimo specchietto per allodole sponsorizzato da Franceschini. Pochi giorni fa il Ministro ha infatti reso noto l’accordo raggiunto con la LUISS BUSINESS SCHOOL e ALES per un sedicente progetto di formazione per giovani laureati (sotto i 27 anni) finanziato con i fondi del Gioco del Lotto.
Il progetto coinvolgerà cento neolaureati in un programma di circa 200 ore di lezione presso la LUISS Business School sui seguenti temi: Digital Transformation e Comunicazione, Marketing dell’arte e della cultura, Adventure Lab, Cultural Project Management, Economia e Gestione delle Istituzioni Culturali Pubbliche Italiane. Al periodo di formazione, spalmato su sei settimane, seguiranno sei mesi di stage retribuito presso 25 istituzioni culturali italiane.
Il bando prevede la selezione di laureati «in qualunque disciplina», purché «di talento», con un atteggiamento ancora una volta liquidatorio nei confronti dei laureati in discipline inerenti la storia e la conservazione del patrimonio culturale. Il messaggio veicolato da questo progetto, dal bando che ne stabilisce i criteri di partecipazione e, in ultima analisi, dal Ministero, è che non sia necessaria una formazione tecnico-scientifica per occuparsi di comunicazione e valorizzazione dei beni culturali. Con un corso di formazione di sei settimane (!) in materie prettamente economiche, gestionali e informatiche, i partecipanti dovrebbero essere in grado, secondo gli organizzatori, non solo di occuparsi della comunicazione di istituzioni culturali italiane, ma addirittura di proporre nuove iniziative volte a migliorare la comunicazione legata alla valorizzazione del patrimonio conservato e gestito dalle suddette istituzioni (in questo consiste l’ultima fase del progetto, che selezionerà le migliori proposte per start-up e ne sovvenzionerà lo sviluppo).
Sul sito dedicato al progetto (www.generazionecultura.it) si legge che quest’ultimo «nasce con lo scopo di potenziare le competenze di giovani talenti e valorizzare il patrimonio artistico e culturale del nostro Paese». Siamo di fronte all’ennesimo abuso del termine “valorizzazione”, ritenuto completamente slegato dalla conoscenza degli oggetti e dei contesti da valorizzare, nonché all’abuso del termine “potenziare”, poiché, se la lingua non ci inganna, il potenziamento dovrebbe innestarsi su competenze precedentemente acquisite.
I rischi sono molteplici.
Da un lato le istituzioni coinvolte pagheranno il prezzo di una comunicazione priva dell’alta qualità scientifica che sempre e comunque deve caratterizzare le attività di divulgazione, specie quelle provenienti o attinenti istituzioni pubbliche che negli ultimi decenni hanno speso molte risorse per migliorare e affinare le tecniche della educazione al patrimonio e della comunicazione culturale, missioni sociali e civili che non possono prescindere dalla profonda e sedimentata conoscenza dell’oggetto di cui si occupano. Sempre più spesso, non a caso, grazie anche alle nuove potenzialità dei social network, sono stati smascherati grossolani errori, frutto di completa mancanza di nozioni o di incapacità di valutazione dell’attendibilità delle fonti, divulgati dai siti internet di importanti istituzioni pubbliche. Tutto questo a dimostrazione di una totale incultura della comunicazione.
Dall’altro lato, viene a decadere completamente il valore della interdisciplinarità, cioè della collaborazione virtuosa tra diverse competenze, con la facile e illusoria promessa che in sei settimane si possa supplire a una formazione universitaria diversificata e specialistica.
Pur volendo sorvolare sulla sponsorizzazione da parte del Ministero – e dei suoi potenti mezzi di comunicazione, appunto – di un’iniziativa che vede incrementate le risorse a disposizione dei privati mentre i progetti dei funzionari responsabili delle istituzioni stesse giacciono molto spesso nel cassetto intitolato “fondi mancanti”, ciò che è pericoloso e offensivo è il messaggio veicolato da accordi di questo tipo: per operare nel settore della comunicazione dei beni culturali non è necessaria un’adeguata formazione universitaria che consenta di entrare nel merito dei contenuti comunicati. Senza contare che, ancora una volta, dei tirocinanti si troveranno a svolgere, negli uffici istituzionali, lavori che spetterebbero al personale qualificato assunto mediante selezione concorsuale, ricoprendo un ruolo provvisorio con una competenza altrettanto provvisoria che non sarà in grado di rendere utili all’istituzione che li forma i saperi che possono maturarvi.
Resta da capire il titolo dell’iniziativa: forse più appropriato risulterebbe “Generazione incultura”.