Il cemento che cancella la storia

Il cemento che cancella la storia

Pubblichiamo il documento dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli sull’intervento in corso al Tempio della Pace nell’area dei Fori in Roma
L’Associazione Bianchi Bandinelli – anche a seguito di un sopralluogo con esperti – ritiene di dover richiamare l’attenzione del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, dell’Istituto superiore di conservazione e restauro, della Sovrintendenza capitolina, e della Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l’Area archeologica di Roma, della comunità scientifica, di quella tecnico professionale e più in generale di quella civile sull’intervento che si sta attuando sul portico del Tempio della Pace, nell’area dei Fori in Roma.
È, infatti, in corso di ricostruzione uno dei lati del grande quadriportico con il ripristino in cemento armato dello stilobate, il riposizionamento dei frammenti conservati delle colonne e l’integrazione delle parti mancanti, che sono in misura prevalente, con elementi in cemento armato. Le basi delle colonne, mancando quelle antiche, salvo che per un piccolissimo frammento, sono state rifatte in cemento su modello delle basi delle paraste che ornano un monumento vicino e poggiano su una piastra antisismica, secondo le norme dell’ingegneria civile. Per saldare i residui frammenti lapidei tra loro o con quelli riprodotti in cemento sono state asportate una carota centrale di circa 5 cm. circondata da una quindicina di carote di circa 1,5/2 cm. di diametro.
È stato affermato da parte dei responsabili della Sovrintendenza capitolina che del basamento si conservava solo la traccia in negativo. Eppure, la documentazione fotografica satellitare sembra attestare la presenza dei basamenti delle colonne almeno fino al 2013. Inoltre è stata indicata la ricomposizione di una delle colonne con più frammenti antichi come un intervento di “anastilosi filologica”, poiché quei frammenti erano giacenti nelle immediate prossimità, sebbene sia ben noto che in un’area archeologica gli elementi lapidei in posizione di caduta possono subire spostamenti anche significativi, specialmente quando, come in questo caso, interventi di sistemazione si sono ripetuti nel tempo.
Infine, gli stessi responsabili hanno chiarito che la ricostruzione del portico risponde alla necessità di restituire al monumento la sua antica forma per renderlo comprensibile al grande pubblico.
L’associazione Bianchi Bandinelli, nel contestare decisamente l’intervento in corso al Tempio della Pace proprio nelle finalità che lo hanno promosso, nella metodologia applicata, nei materiali usati, nei danni traumatici e irreversibili provocati al materiale lapideo antico, intende adoperarsi perché tale intervento non costituisca un esempio da seguire e da replicare.
1– La valorizzazione, cui è finalizzato l’intervento in questione e che, secondo il già citato Codice (art. 6, comma 1) deve “promuovere la conoscenza del patrimonio culturale” e “assicurare le migliori condizioni di utilizzazione” “al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”, rappresenta l’esito finale di un processo inscindibile che, prendendo le mosse dalla ricerca e dalla conoscenza, passa per la tutela, la conservazione e il restauro. La valorizzazione si deve proporre la divulgazione non la volgarizzazione. Viceversa il rischio è di trasformare gli straordinari siti archeologici del territorio italiano in archeolands riproducibili ovunque si voglia nel mondo.
I mezzi disponibili oggi nel campo delle tecnologie avanzate della comunicazione soccorrono in modo efficacissimo nella rappresentazione di un monumento nella sua ipotetica integrità e funzionalità, dedicata prevalentemente al pubblico non esperto. L’evento realizzato in tempi recenti da Piero Angela proprio sul Tempio della Pace con la ricostruzione virtuale del portico ha riscosso molto successo, poiché ha in maniera suggestiva indotto il pubblico alla comprensione del monumento, rispettandone lo stato di conservazione.
2 – Ai fini della valorizzazione l’intervento ha previsto l’anastilosi del portico, travisando peraltro il principio o la concezione di tale procedimento. Per anastilosi, infatti, si intende la ricomposizione delle parti di un monumento che non si conservano più in elevato ma sono perfettamente riposizionabili nella loro collocazione originaria. Nel caso del Tempio della Pace non si sta effettuando l’anastilosi ma la ricostruzione dell’elevato del portico, assemblando pochi frammenti di colonne conservate in situ con elementi ricostruiti, ad imitazione di quelli antichi, in cemento armato.
L’uso del cemento armato nel restauro di monumenti antichi ha avuto il suo exploit trionfale tra il 1960 e il 1970, si pensi all’Athenaion di Paestum, il cosiddetto tempio di Cerere, o ai templi di Agrigento. Ma molto presto si è dovuto constatare la scarsa durabilità del cemento, mentre ancora oggi non si riesce a valutare il danno che il metallo introdotto nella massa lapidea sta producendo. Proprio i guasti prodotti dal cemento hanno indotto recentemente il totale smontaggio del tempio di Atena Nike sull’Acropoli di Atene e il rimontaggio con elementi di marmo. Analogamente i blocchi di calcestruzzo utilizzati nel restauro della Sfinge di Cheope in Egitto sono stati sostituiti con materiale lapideo conforme per evitare l’erosione dei blocchi antichi.
Anche se il calcestruzzo attuale ha qualità meccaniche e chimico-fisiche ben diverse da quelle del passato, ciò non rassicura su una durabilità che si vorrebbe plurisecolare né sugli effetti dovuti al microclima. Dalla presenza delle betoniere sul cantiere del Tempio della Pace si evince che l’impasto è stato realizzato sul posto e ciò induce perplessità in quanto il dosaggio tra cemento, inerti, acqua ed eventuali additivi è un processo complesso da studiare e da mettere a punto in un laboratorio specializzato.
Da oltre trent’anni ci si batte contro l’uso del cemento e del calcestruzzo armato nel costruito storico e ancor più nel costruito archeologico. La battaglia sembrava quasi vinta, ma questo intervento è totalmente controcorrente e può, contro ogni aspettativa del buon metodo, costituire un dannosissimo precedente.
3 – Il restauro non solo è finalizzato alla buona conservazione del monumento, ma consente sia nella fase preparatoria sia in quella esecutiva di approfondirne la conoscenza. Esso va eseguito perciò da maestranze appositamente preparate e specializzate. Il restauro costituisce una fase importante nell’approccio conoscitivo e nella ricerca scientifica su un determinato monumento e, come tale, può avere nel tempo ulteriori approfondimenti e sviluppi e indurre a ripensamenti. Da qui deriva la necessità che l’intervento di restauro sia reversibile. Nel caso del Tempio della Pace, del quale tanto si sa, ma ancora molto si può scoprire, la reversibilità, per le parti in cui si è intervenuto, è irrimediabilmente compromessa. Non si potrà più restituire ai frammenti di colonne abbondantemente perforati la consistenza della massa lapidea originaria.
A quanto sembra ricavarsi dalla appena ricordata documentazione fotografica satellitare, si sarebbero potuti mantenere gli stilobati lapidei delle colonne, così da conservare il materiale antico e non obliterare l’area di sedime, certamente di interesse archeologico, invadendola irreversibilmente con i plinti di calcestruzzo armato, destinati a sostenere le piastre antisismiche e le ricostruzioni delle colonne. Se proprio si fosse voluta ricostruire parte del portico si sarebbe potuto utilizzare materiale più idoneo, facilmente riconoscibile, di sicura compatibilità fisico-chimica con il granito e meno invasivo, in luogo della grossolana contraffazione rappresentata dalle integrazioni in cemento rivestite di malta o intonaco colorato inteso a riprodurre l’effetto granito. Sarebbe inoltre bastato inibire al pubblico il percorso attorno al monumento per una fascia di sicurezza, come si è fatto per altri illustri monumenti (i templi di Paestum o la villa dei Quintilii), al fine di aggirare l’incauta quanto impropria disposizione che introduce il rispetto della normativa sismica nei siti archeologici.
Si può, infatti, compiere un grande salto a ritroso di 30/40 anni e iniettare, per esigenze di sicurezza sismica, cemento nelle murature antiche, distruggendo definitivamente il loro valore di documento di storia dell’architettura antica? Certamente no e quindi la protezione dal rischio sismico va affrontata con soluzioni di “miglioramento” che rispettino l’integrità del rudere archeologico e il suo valore scientifico di documento-monumento di storia materiale.

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