di Pier Giovanni Guzzo
Con tenacia degna di miglior causa, il ministro dei Beni Culturali ha ribadito la disponibilità di venti milioni per la ricostruzione dell’arena del Colosseo. Così, a circa sei mesi di distanza dal primo annuncio, si conferma una scelta metodologicamente errata e di non prioritaria urgenza per la tutela.
Sembra costante in questa fase che i Beni Culturali stanno attraversando che da quanti hanno il potere (non sempre il know how) di decidere in proposito vengano preferite opere se non inutili, certamente di non immediata priorità. E ciò accade, solitamente, in nome di una presunta “valorizzazione”: come, ad esempio, per l’anastilosi delle colonne in granito del Foro della Pace a Roma, resa possibile solamente dalla predisposizione di giganteschi supporti in cemento armato (oltre alle altrettanto necessarie integrazioni dei fusti, sempre in cemento). Infatti manca ogni resto delle basi originarie, cavate e riutilizzante come di norma per i materiali edilizi in epoca post antica.
Roma stessa offre numerose possibilità di utilizzazione prioritaria di risorse finanziarie. L’area centrale è un grandioso insieme di monumenti che, per l’età romana, non ha uguali al mondo. Sia il suo scenario naturale, con il continuo collasso della pendice del Palatino, sia le opere dell’uomo necessitano di restauro e di conservazione. Il Colosseo stesso vivrebbe la contraddizione di avere il piano dell’arena nuovo di zecca (e forse non perfettamente corrispondente a quello antico), mentre per il resto della sua gigantesca struttura si avrebbero zone ancora pericolanti, nonostante le benemerite attenzioni del generoso sponsor. E la Domus Aurea? Senza dimenticare che più di un quarto di secolo è trascorso dalla grande attività resa possibile dalla legge speciale per Roma: intervallo di tempo che avvicina sempre più la necessità di una verifica e di una messa a punto dello stato di conservazione e di pulizia dei grandi monumenti in marmo. Le colonne istoriate e gli archi trionfali sono ormai divenuti grigi (la colonna Antonina fu sottoposta ad un trattamento più leggero della sorella maggiore, la Traiana): sarebbe quindi tempo di un intervento prima che ridiventino neri, com’era prima degli anni ’80 dello scorso secolo.
Ma non solamente a Roma si hanno monumenti antichi bisognevoli di attenzione e di interventi che ne allontanino nel tempo la definitiva rovina. E non solo monumenti antichi sono nel patrimonio dei Beni Culturali italiani, che la Carta Costituzionale impone (imporrebbe) di tutelare a prescindere dalla rispettiva pertinenza ad una oppure ad un’altra fase culturale. Per fermarci ai monumenti antichi, il comprensorio che rivaleggia per densità di presenze con Roma è quello dei Campi Flegrei. Tra Pozzuoli, Bacoli, Cuma (senza dimenticare le contermini isole di Ischia e di Capri) era la sede estiva degli imperatori romani e della loro nobiltà: e i monumenti che li ospitavano sorgono ancora maestosi nella loro rovina, annunciandoci la propria prossima distruzione se non si porrà immediato riparo alla loro inedia.
Cosa sarà di Pompei, una volta esauritasi la beneficenza europea? Pompei si estende su mezzo milione di metri quadrati, dei quali nemmeno la metà è stata interessata dagli interventi in corso. Poseidonia e Velia, come tutte le altre città greche che punteggiano le coste tirreniche e ioniche fino a Taranto, e le città romane, da Blanda (attuale Tortora) a Scolacium (attuale Roccelletta di Borgia), che sono loro succedute mostrano continua necessità di interventi: per conservare quanto già in luce, per conservare quanto viene quotidianamente minacciato dall’espansione edilizia e dall’incuria. Etruschi, Liguri, Veneti, Celti, Piceni, Sanniti hanno popolato il nostro Paese: e ce ne hanno lasciato documentazione monumentale.
I venti milioni che il ministro riserva (con tenacia degna di miglior causa) alla non prioritaria ricostruzione dell’arena del Colosseo utilizzati invece sull’intero patrimonio culturale italiano svolgerebbero un ben più efficace effetto di tutela che cedere all’emozione del sentirsi gladiatore. Ben più efficace effetto non solo in ordine alla tutela ed alla conservazione, ma anche al significato più profondo della cultura: che non è qualità esclusiva riservata a ciò che è famoso, ma proprietà diffusa a tutto ciò che è in grado di insegnarci qualcosa.